Massimo Ghini ritorna in teatro con “Quando la moglie è in vacanza”

massimo ghini

La commedia musicale nata a Broadway approda a Roma al Teatro Quirino fino al 18 gennaio, con Massimo Ghini ed Elena Santarelli protagonisti

Trasformare alcune commedie di Broadway in indimenticabili capolavori cinematografici: questa è stata la vera forza del genio creativo di Billy Wilder. Grazie al suo stile corrosivo, sarcastico e ironico, ha sgretolato l’immaginario collettivo mettendo alla berlina vizi e virtù di una middle class arrivista, perbenista e spesso disorientata dal progresso. “Prima pagina”, “Uno due tre!” e “L’appartamento” sono solamente alcuni degli esempi più riusciti, opere riadattate per il grande schermo così ben congegnate da offuscare – se non addirittura soppiantare – la corrispettiva teatrale. È anche il caso di “Quando la moglie è in vacanza”, pièce scritta da George Axelrod che debuttò a Broadway nel 1952. Tre anni più tardi Billy Wilder ne realizzò una versione per il grande schermo che di fatto, ancora oggi, è più conosciuta e apprezzata rispetto all’originale teatrale. Questo grazie anche alla memorabile scena in cui la bianca gonna di Marilyn Monroe svolazza per il passaggio di un treno della metropolitana. Oggi un’icona del cinema del XX secolo. Nel suo lavoro cinematografico Billy Wilder apportò significative modifiche rispetto al testo di Axelrod per ovvie ragioni, senza però stravolgerne i messaggi più o meno subliminali. Oggi quel testo è stato felicemente recuperato dal regista Massimo D’Alatri che ha deciso di mettere da parte “l’ingombrante” figura del regista naturalizzato statunitense per concentrarsi invece sulla pièce “The 7 year itch”. È questo infatti il titolo originale, quel “prurito del settimo anno” che meglio della traduzione italiana esemplifica il contenuto dell’opera.

Dopo un anno in tournée fra l’Italia e la Svizzera, “Quando la moglie è in vacanza” approda anche a Roma dove sarà in scena al Teatro Quirino fino al 18 gennaio. Protagonisti della commedia musicale sono Massimo Ghini ed Elena Santarelli. Quello dell’attore romano è un gradito ritorno a teatro dopo dieci anni di “latitanza”: l’ultima consistente apparizione risale al 2003-2004 quando recitò nel fortunato “Vacanze romane” di Pietro Garirei. All’epoca era affiancato dalla superba Serena Autieri nel ruolo che fu di Audrey Hepburn. Come allora, anche oggi Massimo Ghini dimostra il suo talento di attore e mattatore. Un artista a tutto tondo che ci ha convinto ancora una volta per le sue doti recitative e canore messe in gioco nella nuova commedia musicale. Per quasi due ore ininterrotte è sempre e soltanto lui a essere in scena, impegnato fra roboanti monologhi e frizzanti dialoghi con i suoi fantasmi e con quella ragazza del piano di sopra che, come un uragano, sconvolgerà la sua quiete e il suo apatico tran tran quotidiano. Ed è nei dialoghi, dove la diegesi accelera vorticosamente, che emerge quasi con prepotenza la caratterizzazione del personaggio, caricatura riuscita di un certo ceto sociale perbenista e attento all’apparenza. Perché, a dispetto di un inizio un po’ lento, è in questa parte drammaturgica che Ghini dà il meglio di sé, interagendo con l’altro, sia esso il proprio alter ego (ricreato ad arte da un supporto video) o un personaggio della commedia.

La ragazza del piano di sopra è interpretata dalla bellissima Elena Santarelli, impegnata per la prima volta a teatro. Qualche peccatuccio di “gioventù” che però è perdonabile: nel complesso, infatti, ci ha piacevolmente soddisfatto per il suo modo di leggere la figura della femmina bonariamente ingenua e pasticciona, sia sentimentalmente sia praticamente. Qualità cucite su misura per la Monroe e che, riviste e riadattate, non fanno sfigurare la Santarelli. Meglio evitare, però, qualsiasi fuorviante paragone. Il giusto tocco di sale è aggiunto dalle impeccabili interpretazioni di Anna Vinci (la moglie) ed Edoardo Sala (il dottor Brusaioli). Per centrare l’obiettivo, Massimo D’Alatri si è avvalso della scenografia esteticamente valida di Aldo Buti e delle musiche orecchiabili composte da Renato Zero. Ma, soprattutto, ha sfruttato la tecnologia: da una parte tramite un velatino dove scorrono videoclip, escamotage sfruttato per i cambi di scena; dall’altra attraverso funzionali proiezioni video interattive che rappresentano gli alter ego dei protagonisti.

Tralasciando il finale da tutti noi forse conosciuto (la scappatella sarà solamente occasionale e darà nuova consapevolezza al marito fedifrago), la commedia musicale di Massimo D’Alatri è sicuramente godibile e diverte il pubblico. Scorre placidamente come un fiume, senza sussulti, come se l’unico intento fosse quello di intrattenere la platea. Per questo non ci troviamo d’accordo con il regista quando afferma che si tratta di “una feroce satira contro il perbenismo di una certa middle class che sembra non avere epoche”. I temi dell’amore, della vita coniugale e in particolar modo del tradimento sono sempre attuali, è vero, ma rispetto agli stessi degli anni ’50/’60 hanno perso mordente e graffio. Un po’ perché ne siamo continuamente bombardati sotto ogni forma, un po’ perché ne siamo assuefatti a tal punto da non rimanerne stupiti più di tanto, a maggior ragione se il fil rouge, nonostante lo spostamento dell’ambientazione da New York a Roma, rimane fedele all’originale del 1952. Se a questo punto vi starete chiedendo se valga la pena o meno comprare il biglietto per lo spettacolo, la risposta non può che essere ambigua. Tutto dipende dal vostro stato d’animo e dallo spirito con cui siederete in platea o galleria. Se infatti andrete al Quirino per trascorrere un paio d’ore per divertimento e svago, allora ve lo consigliamo. Se cercate qualcosa di più impegnativo, sarcasticamente feroce o graffiante, rischierete di rimanerne delusi.

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