Il bell’Antonio, il grande ritorno di Zanetti e Giordana

Al teatro Parioli-Peppino De Filippo sarà in scena fino al 22 marzo “Il bell’Antonio” per la regia concettuale di Giancarlo Sepe

Nel sessantesimo anniversario dalla scomparsa di Vitaliano Brancati, il Teatro Parioli-Peppino De Filippo gli rende omaggio portando in scena, fino al 22 marzo, “Il bell’Antonio”, il suo capolavoro letterario consacrato poi dalla trasposizione cinematografica di Mauro Bolognini. Pellicola che, tra gli altri, vide la partecipazione di Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale.

Assistere a “Il bell’Antonio”, diretto da Giancarlo Sepe, non vuol dire solamente partecipare emotivamente a un affresco della Sicilia fascista raccontata senza stereotipi e ammiccamenti, ma anche applaudire per le interpretazioni magistrali di due attori che hanno segnato la storia nei teatri italiani: Andrea Giordana e Giancarlo Zanetti, perfetti nei ruoli del padre Alfio e dello zio Rosario. Tornati a recitare nuovamente insieme a distanza di tempo e affiancati da un cast di ottimi attori, rappresenteranno l’Italia all’estero.

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La regia di Sepe punta a dare risalto agli attori in scena, ai dialoghi pungenti, ai monologhi strazianti dei protagonisti. La scenografia è essenziale e ridotta all’osso, sulle teste aleggia sempre una luce lattiginosa, diafana, mentre alle spalle fondale e quinte sono ricoperti da specchi che, se da una parte dilatano gli ambienti, dall’altra ci costringono quasi violentemente a non perdere mai di vista l’uomo, inteso come entità fragile e vittima delle proprie ossessioni. D’altronde la riduzione curata dalla figlia di Brancati, Antonia, e da Simona Celi ha voluto dar nuova linfa vitale alla scrittura brancatiana senza operazioni di interpretazione.

A non convincerci pienamente è il ricorso a una musica per pianoforte le cui note accompagnano tutto lo spettacolo. A volte, infatti, l’esito è la prevaricazione degli attori nelle loro declamazioni, non riuscendo quindi a sottolineare il loro stato d’animo e a trasmettere quella empatia tra pubblico e personaggi.

“Il bell’Antonio” è un lucido affresco dell’Italia fatto attraverso un meccanismo concentrico che dalla storia di un Paese in grande difficoltà durante il periodo fascista, fotografa una micro storia in Sicilia di una famiglia e del suo Antonio. Un personaggio pieno di fascino, quasi enigmatico, chiuso in un destino contrario alla propria natura.

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Antonio (Luchino Giordana), bellissimo e privo di qualunque talento, viene visto come una sorta di divinità. Il padre (Andrea Giordana) decanta la virilità di questo figlio unico, la gente pensa che lui sia vicino a Mussolini e per questo influente. Catania non parla altro che delle sue doti. Un fascismo locale macchiettistico e inadeguato. Una madre (Elena Callegari) mite ma pronta a mordere per difendere il figlio. Uno zio filosofo (Giancarlo Zanetti). Un matrimonio non consumato porterà due famiglie di Catania al centro di una tragedia al contrario in cui l’eroe lo è nonostante se stesso e il motivo della tragedia in se non esiste se non in un’incomprensibile difficoltà di Antonio ad amare.

La sensualità, la carnalità, le cose taciute e quelle che non si possono dire, i segreti del talamo, l’impotenza o il peso di un ruolo non voluto, sono solo una chiave di lettura che invece di risolvere il romanzo apre la mente del lettore, e in questo caso dello spettatore, alla ricerca di variabili in cui la fine potrebbe non essere nota.

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