Teatro Argentina, la sensualità della Carmen…napoletana

Al Teatro Argentina di Roma, fino al 19 aprile, sarà in scena la Carmen. Rispetto all’opera di Bizet, Mario Martone ed Enzo Moscato la rivisitano donandogli carattere e musicalità diversi

Osano, sperimentano, giocano con la materia plasmando nuove forme, toccando nuove liricità. Al Teatro Argentina di Roma il pubblico assiste a una metamorfosi della Carmen, la celebre novella di Prosper Mérimée musicata da Georges Bizet. Perché il regista Mario Martone, supportato dalla brillante (ri)scrittura di Enzo Moscato, sfida la tradizione rielaborando la tragica storia di questa gitana, un po’ sigaraia un po’ puttana.

L’esperimento della coppia Martone-Moscato, valorizzata dall’inconfondibile carisma dell’Orchestra di Piazza Vittorio diretta dal maestro Mario Tronco, disorienta, destabilizza e annichilisce proprio perché punta a destrutturare il testo originale e il libretto della Carmen. Della storia, così come della musica e delle arie, rimangono solo frammenti, leggera testimonianza di un processo – e di una metamorfosi appunto – che si sta consumando davanti agli occhi degli spettatori.

© FOTO: MARIO SPADA
© FOTO: MARIO SPADA

Al Teatro Argentina va così in scena una Carmen diversa, mutata nel carattere e nello spirito. Bionda, contemporanea ma, soprattutto, napoletana. Ed è questa la prima vera novità: la zingara lascia la Spagna ottocentesca per trasferirsi in una Napoli di cui respira gli umori, la passione, la vivacità, il sangue e la voglia di libertà e riscatto. Carmen è figlia di quella cultura, ne respira fino in fondo l’essenza e la difende a ogni costo, anche della vita. Lei, così amante dell’amore e della vita

E qui si viene spiazzati dal secondo grande cambiamento voluto da Moscato e Martone: nell’adattamento napoletano, la bella e sensuale protagonista non morirà, ma sarà privata della vista per mano di Cosè, amante ripudiato. L’amore insano del soldato semplice Cosè gli farà ammettere, con rassegnazione, nel monologo finale quanto stupido sia l’amore, quello senza limiti e senza ragione, quello che lui ha schiacciato sotto i piedi ammazzando ogni rivale perché in preda a raptus di gelosia.

Ma a chiudere la pièce, perfettamente condensata in un unico tempo da 74 minuti, non saranno le parole amare del gendarme. Saranno la rabbia e l’amarezza di Carmen che, ormai cieca, girovaga per una Napoli senza più colori. Da questa menomazione fisica, la donna troverà la propria via del riscatto, trasformandosi in una filosofa-puttana (come lei stessa si definisce) e divenendo proprietaria di un bordello. La sua visione dell’amore cambierà, evolvendosi e arrivando a toccare nuove frontiere.

© FOTO: MARIO SPADA
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La sperimentazione drammaturgica di Mario Martone ed Enzo Moscato viaggia ben oltre i sentieri della novella di Prosper Mérimée. Tocca anche la lirica e la musicalità dell’opera le cui note, pur rimanendo vibranti e sensuali, ambiscono alla contaminazione di genere. E lo si intuisce già all’apertura del sipario quando il maestro Mario Tronco esegue la celebre overture della Carmen, adesso più vicina alle tonalità e ai timbri della tradizione partenopea.

Anche le stesse arie vengono scomposte: gli spartiti sono fatti a pezzi e rigenerati dalla felice commistione di prosa, lirica e recital musicale. Il valore aggiunto dell’Orchestra di Piazza Vittorio, a cui già si deve un adattamento della Carmen di Bizet, è intrinseco alla sua stessa natura così multietnica e multiculturale: i nuovi arrangiamenti richiamano musiche e canti di Paesi lontani e senza tempo.

La forma dello spettacolo attinge alla sceneggiata come alla zarzuela, in segreto omaggio al grande autore partenopeo di teatro popolare Raffaele Viviani, di cui Mario Martone realizzò una memorabile messa in scena de “I dieci comandamenti”. Dunque Napoli e le sue radici si riverberano anche nella scelta del dialetto, piegato felicemente a fini caricaturali. Un dialetto vergine, che non risente dell’influenza della lingua nazionale.

La pièce, in scena fino al 19 aprile, è il perfetto esempio di come si possa delicatamente violentare la tradizione regalando al pubblico un’opera originale, fresca e ben congeniata. Si percepisce la mano onnipresente di Mario Martone: la regia è efficace, pungente e mai didascalica. Guida con perizia le brillanti interpretazioni di due icone del teatro, Iaia Forte nei panni della Carmen e Roberto De Francesco nelle vesti del soldato semplice Cosè. Lo studio attento delle luci e la bellezza dei costumi di scena sono la giusta cornice a uno spettacolo che sicuramente non lascerà indifferenti. Perché la Carmen di Martone-Moscato non ammette alibi o mezze misure: piace o non piace.

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