“Il dono”: follia sociale e nessuna censura sul palco

il dono

Dal 12 al 17 Aprile al Teatro dell’Orologio la compagnia Bluteatro porta in scena “Il dono”, liberamente tratta dal romanzo “Brevi interviste con uomini schifosi”.

Illuminati uno per volta, appaiono eterei, possenti, esseri umani dall’inesplicabile armonia e bellezza.

E già mentono.

La figura femminile che gli striscia attraverso svela la verità, grazie ai colpi inferti da ognuno di loro; la sua sagoma agonizzante ci sussurra qual è l’odore nauseabondo che si sente se ci si avvicina troppo ad ognuno dei personaggi, ad ogni uomo.

Un trasandato urla inni democratici durante il coito; le ansie da prestazione innescano la violenza in un uomo in giacca e cravatta; un confuso diciannovenne ricorda la masturbazione del padre e inorridisce dinnanzi alla calma apparente dipinta sui volti della propria famiglia; un preciso burocrate ama legare le proprie donne, le proprie “galline” adeguatamente studiate in precedenza.

Queste le dichiarazioni non così segrete che vengono rivelate dai perdenti eleganti, dagli insicuri, dai paranoici, dai perversi, dagli unti, dagli sporchi, dagli uomini.

Le biondine sorridenti, le rosse ammiccanti, li ascoltano, annotano, annuiscono, poco si scompongono per le aggressioni, come solo le vere bambole pubblicizzate riescono a fare.
Sesso, masturbazione, defecazione, coito, vomito. Non vi è censura. E la desolazione è proprio sapere che siamo tutto qui, anche da liberi.

Tutti rinchiusi in labirinti di tabù sessuali, morali, sociali; torturati da ciò che dovrebbe essere, consapevoli della propria bassezza, neanche si scusano più.

La regia di Luca Bargagna pitta di ombra umana il sipario de “Il dono” e, grazie alla compagnia Bluteatro, inonda l’umanità dello schifo di cui parlava David Foster Wallace nel suo “Brevi interviste con uomini schifosi”. La difficoltà di riuscire a trasportare a teatro l’opera sfaccettata dell’autore cult americano (la cui travagliata vita ha scosso ultimamente anche l’interesse del regista James Ponsoldt tanto da realizzarne un film “The end of the tour”) è lampante. Il ritmo, la compresenza e la complementarietà di stili e generi e la complessità strutturale, essenziali della creazione di Wallace, sfidano ogni riadattamento teatrale.

Nonostante ciò, il tradimento verso l’opera è minimo; il surrealismo e l’assenza di empatia, tipici della scrittura wallaciana, regnano in modo indiscusso nel mondo senza redenzione che disgusta e ammalia lo spettatore, rendendolo schifoso, come gli altri.
Leggero è il tradimento anche per la visione (o meglio, assenza di visione) della donna.

Nel libro, la Femmina è assente, cieca, legata, inconsistente, muta a meno che non debba nascondere la propria sessualità o non debba essere ingannata, ancora una volta; non è investita del rancido della Terra, per il semplice fatto che non ne fa parte.

Nella rappresentazione teatrale “Il dono”, invece, anche il cromosoma x ha modo di parlare, solo di feci però, e di entrare nell’enorme e falsa follia sociale, per poi ritornare in punta di piedi a mostrare compiaciuta e compiacente i propri denti, i propri seni, il proprio volto da Vanity Fair, immobile, visibile solo a patto di subire la frustrazione ed accogliere gli abusi dei padri, degli amanti, degli uomini.

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