Emiliano De Martino si racconta. 34 anni vissuti fra teatro, cinema e piccolo schermo fino alle esperienze da autore e regista.
Campano doc, 34 anni compiuti il 17 aprile, Emiliano De Martino, giovane interprete di molti film di successo, è uno degli attori più brillanti del panorama cinematografico italiano. In questo momento sul piccolo schermo, nel ruolo dell’agente Palumbo, al fianco di Gigi Proietti nella fiction “Una pallottola nel cuore 2”, si racconta in questa lunga intervista ad Openmag.
C’è un personaggio tra quelli che ha interpretato al quale è maggiormente legato? Perché?
In realtà, sono affezionato a tutti i miei personaggi, quello però che ho più amato resta senza dubbio Ruggero Maccari nel film Che strano chiamarsi Federico (2013), l’ultimo diretto dal maestro Ettore Scola e presentato fuori concorso al festival di Venezia. Un’emozionante e ironica rilettura di Fellini, che mi ha dato l’opportunità di interpretare uno sceneggiatore, un principe della commedia all’italiana, responsabile, attraverso centinaia di titoli, della grande stagione creativa, quella del boom degli anni Cinquanta.
Un personaggio impegnativo, dunque, lontano dalle mie corde, e soprattutto dal classico cliché del napoletano nel quale, mio malgrado, sono per lo più relegato dai registi che mi scelgono! Interpretare Maccari è stato un banco di prova importante, una sfida anche con me stesso e il successo che poi ha avuto il film mi induce a credere di averla vinta!
Lei ha avuto l’opportunità, nonostante la giovane età, di lavorare con grandi maestri del cinema italiano d’autore. Cosa ha imparato da loro e cosa significa fare l’attore oggi?
Da Scola a Veronesi, Pieraccioni, Verdone, ho imparato soprattutto la disciplina, il sacrificio e la dedizione. Vedere sul set questi registi che, nonostante l’esperienza, quando approcciano un personaggio lo fanno ogni volta come se fosse la prima, ti fa capire che nulla nel nostro mestiere è scontato e che la vera chiave di lettura è l’umiltà dei grandi.
Oggi di questo atteggiamento non ritroviamo quasi più nulla, perché si inverte il processo di formazione: si sfrutta la notorietà per diventare un artista e ti ritrovi alle prese con una concorrenza venuta dal nulla, senza alcuna preparazione, fatta solo di pretese. E’ l’inflazionato mondo dello star system che si scontra con l’idea romantica di fare l’attore che ognuno conserva in fondo al cuore. Per me che faccio parte di un microcosmo è tutto all’opposto: la preparazione artistica insieme al talento sono fondamentali.
Nella sua vita professionale però non esistono solo il cinema o la televisione ma c’è anche il teatro, come autore e regista. Che è stato anche il suo primo amore.
Nasco dal teatro, ho iniziato a 14 anni; è un luogo in cui impari a costruire la tua identità professionale, un bagaglio che ti accompagnerà tutta la vita. Certo, il teatro è poco remunerativo ma è viscerale, non ne puoi proprio fare a meno.
Ho scritto e diretto gli spettacoli Solo cento volte e Mamma Napoli, sicuramente un grande impegno con poco ritorno d’immagine. Motivo per il quale oggi bisogna accettare lavori che ti diano quella visibilità necessaria a portare la gente a teatro. Purtroppo la ricerca del nome famoso nel cast toglie la possibilità a tanti giovani di talento di emergere. L’unica strada per molti è l’autoproduzione.
Nonostante conservi sempre la sua verve ironica campana, ha interpretato per lo più ruoli drammatici, da cattivo. Alfonso Vitale o l’agente Palumbo, chi è veramente Emiliano De Martino?
Son un po’ l’uno e un po’ l’altro! Ruoli del genere li ho già interpretati in altre produzioni e attingono al mio passato. Io faccio parte della generazione cresciuta per la strada con il Super Santos di tela, un’esperienza che non puoi non mettere dentro questi personaggi. I registi mi scelgono, a detta loro, per la contraddittorietà tra l’aspetto da bravo ragazzo e la profondità espressiva degli occhi che insieme riescono a dare una complessità e uno spessore unico al personaggio. Insomma, la determinazione sicuramente mi appartiene non nei modi ma nei fini, nella caparbietà quando ho un obiettivo da raggiungere.
Poi sono autoironico, e cerco sempre di strappare un sorriso a chi lo merita, e anche a me stesso. Mi sforzo di uscire dallo stereotipo del napoletano non per rinnegare le mie radici ma per cercare di dire qualcosa altro, come ho cercato di fare in Effetti indesiderati, di Claudio Insegno e in Un fantastico via vai di Leonardo Pieraccioni. Spero di esserci riuscito!
Alla fine dell’intervista, abbiamo voluto fargli un po’ il verso prendendo in prestito il suo format “Interviste in movimento”, in onda sul suo canale Youtube
Ecco il risultato!