Il 4 maggio 1949, poco dopo le ore 17, un aereo colpisce il muraglione posteriore della basilica di Superga. E’ il momento in cui il Grande Torino, una delle squadre di calcio più forti di sempre, perde la partita più importante contro l’avversario più temibile.
“Se a San Siro contro l’Inter non perderemo, andremo in Portogallo”, furono queste le parole di Valentino Mazzola dette ad alcuni compagni, un po’ restii a giocare un’amichevole proprio nel momento più decisivo del campionato. La gara contro l’Inter finì 0-0. Mancavano quattro giornate alla fine del campionato e il team granata decise quindi di giocare un’amichevole contro il Benfica in onore del capitano della squadra lusitana Francisco Ferreira. Durante il viaggio di ritorno, l’aereo con a bordo i giocatori del Torino partito da Lisbona, fece scalo a Barcellona dove i granata incontrano i giocatori del Milan, pranzarono insieme, poi ognuno per la sua strada: il Milan diretto a Madrid, il Torino rientrava in Italia, dirigendosi verso l’aeroporto del capoluogo piemontese.
Durante il viaggio, sorvolando Pino Torinese, a sud-est di Torino, le condizioni meteo peggiorano e fu un errore di valutazione del pilota che, a causa della nebbia e probabilmente di un guasto elettrico, considerò di avere il colle (670 metri di altitudine) dov’era sita la basilica di Superga alla sua destra, ma se la ritrovò davanti e la colpì. Non si salvò nessuno. I primi a sentire il boato furono alcuni clienti del ristorante di Superga che, notando un paio di maglie granata col tricolore, compresero che quell’aereo ormai distrutto aveva a bordo i giocatori del Torino, capace di vincere cinque scudetti consecutivi e di dare alla nazionale italiana ben 10 elementi della propria rosa.
L’edizione straordinaria dei quotidiani uscita quella stessa sera, comunicò a tutti la tragedia accaduta in quello che doveva essere un normale giorno di maggio e di fine campionato, quando ormai le dirette inseguitrici si erano quasi arrese alla forza della formazione granata che, ovviamente, occupava il primo posto in classifica e guardava tutti dall’alto. Quell’anno lo scudetto venne assegnato a tavolino al Grande Torino, le altre squadre giocarono le restanti quattro giornate di campionato schierando i giocatori dei settori giovanili, abbandonando ogni rivalità sportiva e lasciando spazio ad una doverosa dimostrazione d’affetto nei confronti dei loro invincibili colleghi sconfitti dal destino vigliacco, ma non sul campo.
Anche oggi il ricordo dei giocatori del Grande Torino viene tenuto vivo, oltre che nei cuori di tutti gli amanti del calcio, all’interno del museo di Grugliasco, dove sono esposti alcuni resti dell’aereo e qualche oggetto personale appartenuto ai giocatori granata ritrovato sul luogo della tragedia. Il muraglione della basilica di Superga, distrutto dall’aereo, non venne mai restaurato in memoria di chi, quel maledetto giorno, passò dalla leggenda alla storia, dai campi di calcio alla cronaca nera.
Dieci anni dopo la tragedia di Superga, Vittorio Pozzo, CT della nazionale di quel tempo, volle ricordare quei momenti. Raccontò di John Hansen, un forte attaccante danese che doveva trasferirsi al Torino ma invece andò alla Juventus, anche lui recatosi sul luogo del disastro a dare l’ultimo saluto ai suoi rivali. “Your boys”, sussurrò Hansen a Pozzo mettendogli una mano sulla spalla come a volerlo sostenere durante i suoi cedimenti. Pozzo, cuore granata e uomo di ferro, sovrastato dalla statura di Hansen, chinò il capo, si allontanò dai resti delle macerie, dalle salme dei giocatori che venivano man mano disposte l’una vicina all’altra, e pianse. Tornò poco dopo per continuare ad aiutare i carabinieri a identificare le salme, “nessuno meglio di lei..” gli disse un maresciallo messosi sull’attenti, “li riconoscevo dalle cravatte, dalla camicie, non solo dal viso”, concluse Pozzo.
A distanza di 67 anni, Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti, Giulio Schubert, guardano ancora tutti dall’alto.