Steno, arriva un documentario sulla sua vita

Steno, arriva un documentario sulla sua vita

Steno, arriva il documentario della Farm Studio Factory sul regista di Febbre da cavallo. Curiosità e “backstage” attraverso le risposte del regista Alberto Fabi.

Dopo il successo di ‘La conosci Jingle Bells?’, il cortometraggio premiato dal Mibact che parteciperà ai più prestigiosi festival internazionali, la società di produzione umbra, si lancia in un’altra avventura per celebrare il centenario della nascita di Steno (19 gennaio 1917): la realizzazione di un documentario diretto da Alberto Fabi, coautore Marco Dionisi, direttore della fotografia Luca Santagostino, sulla vita professionale di Stefano Vanzina, regista tra i più prolifici ed eclettici del panorama italiano. In collaborazione con 39Films, casa di produzione Italo Argentina,  “L’Italia di Steno” mira a ricostruire la vita professionale e la dimensione privata del celebre regista attraverso interviste che rivelano aspetti per molti versi inediti.

Suoi, lo ricordiamo, capolavori come Un giorno in pretura, Guardie e Ladri (con Monicelli), Un americano a Roma, Totò a colori, Mio figlio Nerone, La polizia ringrazia e Febbre da cavallo, che lo hanno fatto amare al grande pubblico rendendo immortali scene come le mandrakate di Gigi Proietti e Enrico Montesano o quella del ‘Maccarone, m’hai provocato e io ti distruggo adesso, maccarone! Io me te magno’ di Alberto Sordi, e il tormentone del principe della risata, ‘Ma mi faccia il piacere’.

Alberto, come nasce l’idea del documentario?

In realtà casualmente, da una banale discussione sull’anno di nascita di Steno; infatti molti siti riportano il 1915 mentre in realtà è il 1917! Poi va da sé che è stato un personaggio incredibile, e ricostruire la figura di un uomo di così grande cultura, un intellettuale fine (Leo Longanesi era tra i suoi migliori amici)  di cui si conosce molto poco, è una sfida talmente interessante che andava colta al volo. E quale momento migliore della ricorrenza del centenario della nascita?

Parliamo infatti di un giornalista, un conduttore radiofonico, uno scrittore, sceneggiatore di 150 film, vignettista, illustratore e battutista del Marc’Aurelio, incarnazione di una vivacità intellettuale di grande spessore che oggi manca del tutto.

Sicuramente diverso da registi come Fellini o Antonioni ma non per questo meno importante. Anzi, da apprezzare la sua vena innovativa, pur ispirandosi ai grandi come Billy Wilder.

Cosa le piace dei film di Steno?

Insieme a Dino Risi, Monicelli e Comencini è stato tra quelli in grado di raccontare con leggerezza tematiche che di leggero non hanno assolutamente nulla, oltre alla grande capacità di creare personaggi eterni. Quando parliamo di Steno, il riferimento è a un cinema che è l’ossatura della commedia all’ italiana, a cui molti si sono ispirati in passato e si ispirano tuttora.

C’è qualcuno che oggi ha raccolto quell’eredità?

Non tanto nel cinema nostrano, devo dire; lo ritrovo invece nelle commedie britanniche, tipo Full monty, per intenderci, forse perché in quegli anni con il neorealismo il cinema italiano ha creato dei personaggi unici che raccontavano, in un clima tragicomico,un Paese, tutto sommato forte; invece oggi quell’identità l’abbiamo in parte persa e quella magia che avevano dentro di sé alcuni dei protagonisti ha fatto spazio ad una crisi etica e di valori. Non a caso il cinema è lo specchio del Paese!

Tra i contributi raccolti, quale testimonianza emerge con più forza?

Per il momento ho intervistato Ricky Tognazzi, i figli Enrico e Carlo Vanzina, Delfina Metz, figlia di Vittorio, uno degli autori di Marc’Aurelio, la famosa rivista satirica degli anni trenta, e quello che mi ha più colpito è la descrizione di come vivevano il cinema all’epoca, quando tutti erano legati tra di loro, scrivevano assieme, collaboravano, erano coesi. Mentre oggi è innegabile il divario tra chi fa cinema d’autore e chi fa cinema che incassa.

Eppure Steno, siamo certi, li avrebbe amati i cinepanettoni!

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