A 711 anni dalla sua fondazione, la Sapienza inaugura l’Anno Accademico 2013-2014 raccontandosi come ateneo delle persone e delle idee.
La cerimonia d’inaugurazione si è aperta sulle note del Va pensiero intonate dall’orchestra MuSa della Sapienza, per poi passare dalla musica al racconto. Il rettore Luigi Frati, nel dedicare la giornata di celebrazione agli studenti, ha lasciato subito spazio alle testimonianze di chi, grazie al proprio impegno e agli strumenti che l’Università ha fornito loro, costruiscono giorno dopo giorno un percorso professionale altamente qualificato e gratificante. È il caso di Micaela Quintavalle, che ha sempre lavorato per permettersi gli studi ed è attualmente conducente dell’Atac e studentessa della Facoltà di Medicina e Chirurgia della Sapienza. È il caso anche di Barbara Caputo, ricercatrice che, dopo essersi laureata in Fisica alla Sapienza, ha lavorato a Losanna per poi tornare nell’ateneo da cui era partita, ed essere ora a capo del Laboratorio di Visual end Multimodal Applied Learning.
Il rettore Frati ha parlato delle difficoltà che l’università vive, tra tagli e cali degli iscritti, e di come la Sapienza, facendo sconti sulle tasse ma non sugli esami e sullo studio, contrasti il rischio che l’università diventi “discensore” anziché ascensore sociale.
«Il filo conduttore di questa giornata – ha dichiarato Frati – è lo studente in relazione alle pari opportunità». E questa idea ha trovato coronamento nel conferimento del diploma di Dottorato di ricerca honoris causa in Storia, Antropologia, Religioni a Samuel Modiano, sopravvissuto ai campi di sterminio Auschwitz-Birkenau, per il suo impegno nel tenere viva la memoria della Shoah. L’ateneo ha voluto conferire a Modiano questo titolo per l’ardua missione di testimonianza della Shoah che porta avanti, anche accompagnando gli alunni delle scuole nei campi di sterminio, nonostante il dolore che la memoria scatena.
È emozionato Samuel Modiano nell’ottenere un riconoscimento per un percorso di studi che la vita gli ha negato. Ha raccontato che viveva nell’isola di Rodi quando, in terza elementare, fu espulso per via delle leggi razziali. La deportazione, il campo di sterminio, la violenza e la morte riaffioravano oggi nei suoi occhi insieme alle lacrime: «La mia comunità era costituita da 2500 persone e ora sono tutti morti, siamo sopravvissuti solo in 151. Da alcuni anni ho trovato un senso da dare a tutto questo, mi dedico a trasmettere alla nuove generazioni quello che hanno visto i miei occhi ad Aushwitz, cose che loro non dovranno mai vedere. Invito i giovani a dedicarsi agli studi, è importante. Io non ho potuto farlo, ma avrei voluto guadagnarmi quest’onorificenza che oggi mi viene conferita. Voi che potete, studiate».