Il Segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, era contrario, ma il PD e l’on. Francesco Boccia hanno agito nel senso opposto. La materia del contendere? La già “Web Tax”, trasformata in emendamento alla legge di stabilità, da oggi Legge dello Stato, in “Spot Tax”.
Le cronache degli ultimi giorni, intorno al caos per obbligare le imprese straniere che vendono ai clienti italiani prodotti o servizi a munirsi di partita iva italiana, ha coinvolto gli addetti ai lavori e non, e trova il suo epilogo nell’approvazione da parte del parlamento della Legge di Stabilità. Difatti la legge prevede che l’acquisto online di servizi per “spazi pubblicitari .. e link sponsorizzati .. visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito o la fruizione di un servizio online attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili” dovrà avvenire solamente da fornitori con partita iva italiana. Ovvero i clienti, in generale imprese italiane, saranno obbligate a richiedere una fattura con iva, cosa che ad oggi nella maggior parte dei casi non accade, dato che i “big player” come Google, Facebook, Twitter e LinkedIn si guardano bene nell’avere una stabile organizzazione in Italia.
Partendo dal presupposto che la legge in oggetto risulta palesemente contraria all’impianto normativo europeo, cosa che è già stata fatta notare da Emer Traynor, portavoce del commissario europeo per la fiscalità e l’unione doganale Algirdas Šemeta, ha osservato che la web tax “sembrerebbe contraria alle libertà fondamentali e i principi di non-discriminazione stabiliti dai trattati”. L’Italia sta agendo in modo contrario a qualsiasi politica progressista verso la promozione di una cultura digitale, nuovo motore per un’Italia in piena crisi economica, fanalino di cosa come Paese tra i più arretrati in tema di digitale in Europa. Secondo Eurostat il 34% degli italiani non ha mai navigato su Internet.
La norma è talmente assurda che lo stesso Partito Democratico, contraddittoriamente promotore della norma alla Commissione Bilancio della Camera, è riuscito a far impegnare il Governo a “notificare la norma alla commissione europea come previsto da direttiva 98/34/CE e ad intraprendere ogni iniziativa urgente utile ad evitare che la norma introdotta procuri un danno anche solo indiretto allo sviluppo dell’economia digitale nel nostro paese”. Ci si domanda, naturalmente, quale sia stato il senso di introdurre forzosamente e quasi con violenza questa “spot-tax”, mettendola già in dubbio a qualche ora dalla sua approvazione.
A livello interpretativo, invece, ciò che più sconcerta sono i presupposti culturali sui quali si fonda la norma, difatti il legislatore – leggi onorevole Boccia – pretende di costruire una “barricata virtuale” intorno ai confini nazionali nei quali circoscrivere internet, quando la forza di internet, e della cultura digitale, è la totale fluidità della navigazione transnazionale senza filtri. E’ una operazione degna di un regime totalitario, ignorante e arrogante, che fa della sua vessazione fiscale un cavallo di battaglia. La norma è talmente paradossale che in teoria, essendo il web e i siti italiani visibili da tutto il mondo, tutte le società planetarie dovranno dotarsi di una partita iva italiana, poiché se un qualsiasi utente si collega dalla rete italiana a un sito straniero, e visualizza pubblicità o link sponsorizzati, questi dovrebbero essere stati acquistati attraverso “soggetti, quali editori, concessionarie pubblicitarie, motori di ricerca o altro operatore pubblicitario, titolari di partita Iva rilasciata dall’amministrazione finanziaria italiana”. Ed ecco qui il vero fine del Governo, o dei fini lobbisti parlamentari: quella di favorire i grandi gruppi editoriali, come ad esempio l’Espresso, difatti è noto che Carlo De Benedetti si sia espresso in assoluto favore nei confronti di questa norma, ma d’altronde una bellissima norma “ad impresa” come regalo natalizio non si può certo rifiutare.
Cosa accadrà dal 1 Gennaio 2014 è difficile da dirsi, soprattutto perché non plausibile che i colossi del web, senza considerare le PMI, riescono ad adeguarsi in così poco tempo, quindi ci si domanda se Facebook, o similia, sospenderanno i loro servizi di advertising in Italia, in attesa di comprendere come doversi organizzare. Anche perché il Governo, e il Parlamento, se la sono sbrigata con un emendamento di poche righe, ma prima che una qualsiasi impresa riesca a ridefinire le proprie organizzazioni interne e strategy, senza considerare la costituzione di una stabile organizzazione, avrà necessità di tempo. Tempo che sicuramente non può esaurirsi in qualche settimana, ovvero prima che la Legge di Stabilità venga pubblicata nella gazzetta ufficiale.
Cosa accadrà? Nella migliore delle ipotesi l’Europa riuscirà a intervenire in tempi rapidi per bloccare questa norma assurda, prima che entri in vigore. Nella peggiore delle ipotesi la norma entra in vigore, e da un giorno all’altro il mondo dell’advertising online, e l’economia digitale in generale, entrerà nel caos più totale. Basti pensare a tutti quei contratti già in essere e sottoscritti che diverranno illegittimi, o a tutte quelle aziende che non saranno riuscite ad adeguarsi nei termini, arrecando un arresto totale all’economia, e accrescendo la totale sfiducia nei confronti di un Paese che continua a dimostrarsi non affidabile e contraddittorio.
Di sicuro l’Italia per l’ennesima volta si dimostra politicamente delegittimata difronte all’Europa e al mondo, e chi ne sconta il costa sono sempre gli italiani.