Diritti ed integrazione: i cittadini fanno scuola alle istituzioni

Mentre le istituzioni si perdono nei cavilli burocratici,a Pisa sono gli stessi cittadini a rimboccarsi le maniche e ridare la dignità negata alle persone.  


E’ archiviata definitivamente e con lieto fine, con la firma dell’ultimo contratto di affitto, la vicenda dei giovani rifugiati del Centro di Accoglienza Autogestito di via Pietrasantina a Pisa.
La storia ebbe inizio con l’emergenza nel Nord Africa del 2011, quando a Pisa arrivarono 20 rifugiati, provenienti dal Ciad, dalla Somalia, dal Sudan, dal Niger, dalla Liberia e dal Mali, sbarcati a Lampedusa in fuga dalla guerra in Libia i quali, dopo alcuni spostamenti, vennero sistemati al Centro gestito dalla Croce Rossa.
Se il minimo è stato fatto in termini di gestione dell’emergenza e accoglienza, poco o nulla è riuscito nella direzione dell’integrazione e la situazione precipita definitivamente il 27 febbraio 2013, quando il Governo decreta la fine dell’Emergenza Nord Africa. A quel punto, racconta Fabio Ballerini, uno degli studenti universitari del corso di laurea in “Scienze per la Pace” che ha seguito tutta la vicenda,  la Croce Rossa ha lasciato la struttura senza prevedere per gli ospiti nessun piano di uscita che potesse consentire l’inserimento nella realtà pisana. Il campo di Via Pietrasantina viene smantellato, i migranti sono invitati ad andarsene, come peraltro è accaduto  ovunque in Italia senza predisporre soluzioni successive all’accoglienza.

A quel punto, mossi da vero senso civico e rispetto dei diritti umani, si mobilitano un gruppo di studenti universitari e di organizzazioni locali, tra le quali “Africa Insieme”, si mobilitano al fine di dare aiuti concreti ai rifugiati.
L’esperienza è riuscita a mettere in moto un percorso di integrazione di successo; da una parte attraverso programmi culturali con corsi di italiano e d’inglese, dall’altra attraverso il progetto dell’orto sociale, grazie al quale i giovani profughi hanno iniziato ad essere coinvolti producendo piccoli prodotti di artigianato, rivenduti tramite i Gruppi di Acquisto Solidale. Il gruppo di studenti, coordinati da Tiziano Falchi e Fabio Ballerini, ha prodotto il video che trovate sopra, per documentare la storia dei profughi e tentare di mettere luce sulla vicenda. 

Le organizzazioni e i giovani volontari tuttavia hanno fatto del loro meglio per tamponare questi mesi di disagio fino a quando finalmente un’altra politica possibile la suggerisce la Provincia di Pisa individuando alcune aziende dove i migranti vengono assunti con tirocini formativi, come quello della Regione che mobilita ancora il suo progetto “Giovani Sì” (https://openmag.it/2013/11/12/in-toscana-giovanisi-le-buone-politiche-giovanili-giovani/), ed eroga finanziamenti a copertura parziale delle spese. I profughi cominciano così a lavorare e a guadagnare piccoli stipendi di 500 euro al mese, che seppure non sono una soluzione definitiva rappresentano un ottimo punto di partenza.
La strada per l’autonomia però è stata  lunga per questo gruppo di giovani; infatti, lo scorso ottobre sono state disattivate tutte le utenze, niente acqua, gas e luce per gli ultimi 11 ragazzi. Gli ex ospiti non potevano continuare a dormire nei container del campo profughi, avevano bisogno di un alloggio stabile e di un lavoro. Insieme alle associazioni e agli studenti, quindi, è stata fatta richiesta al Comune affinchè si mobilitasse per individuare possibili soluzioni. Ma la risposta non lascia dubbi: “non è possibile, non ci sono soldi”. Tale situazione di disagio  si è protratta fino al 10 gennaio 2014, ed anche l’amministrazione cittadina non è riuscita ad esprimere una  posizione che riuscisse a tutelare i diritti degli 11 rifugiati.
La vicenda ha suscitato un’ondata di indignazione in città, infatti, quei ragazzi africani, nel frattempo rimasti in dieci, sono ormai conosciuti da tutti. La generosa mobilitazione degli studenti e gli appelli usciti sulla stampa locale hanno attivato l’opinione pubblica e la richiesta di riallacciare le utenze nonchè di trovare una qualche soluzione, è tuttora condivisa da uno schieramento trasversale.
profughi-8-300x198A dicembre 2013 arriva finalmente il primo contratto di affitto che ha permesso a 5 ragazzi di lasciare il centro per una vera casa e uscire da questa situazione di stallo. Un risultato raggiunto anche grazie all’intervento della Società della Salute che in collaborazione con l’Arci di Pisa e con l’Associazione Batik, ha fatto da mediatore per trovare appartamenti in affitto sul mercato. Segno che l’intervento delle istituzioni, quando si integra con la società civile, può fare la differenza.
Dopo tanti mesi di disagio e di fatica, il 9 gennaio scorso è stato firmato l’ultimo contratto di affitto che consentirà anche ai rimanenti di lasciare il Centro Autogestito e iniziare la loro nuova vita nella legalità. Una firma che sancisce la fine di questa esperienza ma soprattutto il ritorno dei rifugiati ai propri diritti.
“Il 18 Gennaio il Centro ha chiuso i battenti con una grande festa” –  scrive sulla sua pagina Sergio Bontempelli, Presidente di Africa Insieme – “una volta tanto una buona notizia, una piccola grande vittoria: che si deve anzitutto alla tenacia e alla determinazione degli stessi ospiti della struttura. In secondo luogo, alla straordinaria mobilitazione di tanti studenti e studentesse. In terzo luogo, e con un ruolo certamente minore perché meno costante, va ricordato il contributo della nostra associazione – Africa Insieme – del sempre prezioso network di Progetto Rebeldia, di Una Città in Comune.”
Così si chiude con il lieto fine una vicenda dolorosa per il nostro paese, che ancora una volta perde l’occasione di integrare la fortissima rete territoriale del terzo settore e della società civile per il recupero di diritti che 11 persone si sono viste negare per mesi. E la domanda, come si suol dire, sorge spontanea: se a costo quasi zero un gruppo di professionisti, volontari e liberi cittadini riesce a risolvere una questione di disagio sociale e di violazione dei diritti umani, perchè le istituzioni non riescono a fare tesoro di queste buone prassi integrandole e investendo nel modo giusto i tanti fondi che con o senza crisi vengono investiti nel sociale? Quante storie di sofferenza a lieto fine dobbiamo ancora vedere prima che i nostri politici comprendano che devono lavorare con la base e che devono ascoltare i propri cittadini?
Nel frattempo, durante la chiusura del Centro Autogestito di Accoglienza ci si prepara all’evento del 31 gennaio, 1 e 2 febbraio a Lampedusa, dove molte associazioni e realtà italiane ed europee lanceranno e sottoscriveranno la Carta di Lampedusa – documento sui diritti dei migranti. Restate connessi.

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