Andres Escobar e quel maledetto autogol

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La storia di Andres Escobar, il più forte difensore del calcio colombiano

Era una calda giornata del mese di giugno del 1994 e la Colombia giocava una partita fondamentale per il proseguo del suo cammino al Mondiale Americano contro gli U.S.A. Partita da dentro o fuori. Sicuramente la sconfitta non può essere ammessa per una nazionale dal blasone e dalla caratura tecnica superiore rispetto a un gruppetto di boys statunitensi entusiasmati dal tifo locale. Higuita e Valderrama erano le icone assolute della nazionale allenata da Maturana. Al trentacinquesimo minuto di quella partita successe quello che non doveva succedere. Azione offensiva della squadra americana, cross di John Harkes indirizzato al compagno Stewart, in recupero arriva in spaccata Andres Escobar che indirizza nella propria porta e diventa autore di un tragico autogol. Escobar è un uomo distrutto disteso a terra dal dolore. Colombia sconfitta per 2 a 1 ed eliminata dal Mondiale. Sarà la sua ultima partita di calcio ma ancora non lo sa, da lì a poco 6 colpi di mitraglietta fermeranno per sempre il suo cuore ma ancora non lo sa.

Colombian defender Andres Escobar lies on the grou

Escobar è di Medellin e il sospetto che le cose al rientro a casa non andranno bene c’è ed è concreto, ma la realtà sarà molto più dura e cruda dei suoi timori. La Colombia partecipava al Mondiale attorniata da un clima di terrore. Qualche ora prima della sfida decisiva con gli USA, arrivò nell’hotel dove alloggiava la squadra sudamericana un fax anonimo decisamente eloquente: “Se gioca Gomez faremo saltare in aria la sua casa e quella di Maturana”. Gomez venne escluso dalla formazione e ritornò in patria. Era considerato il responsabile principale della sconfitta nella prima partita contro la Romania e nonostante fosse il fratello del vice di Maturana, il suo destino era segnato. Segnato dalla forza del cartello di Medellin capace di controllare in Colombia tutto ciò che potesse comportare interessi economici. Su tutto narcotraffico e calcio scommesse. Quindi è facile immaginare quali attenzioni potessero concentrarsi su una partita di calcio vinta o persa. Il narcotraffico iniziò ad interessarsi di calcio già negli anni 70, veniva ripulito il denaro “sporco”, e nei due decenni successivi le grandi organizzazioni  controllanti il traffico di droga mondiale diventarono le vere protagoniste del calcio colombiano. I principali cartelli erano proprietari dei più importanti club del loro paese, in particolare il cartello di Calì controllava e gestiva l’America di Calì, quello di Medellin, del famigerato narcotrafficante Pablo Escobar, era proprietario dell’Atletico National. In un contesto simile non si ci stupisce del rapimento tre mesi prima del mondiale del figlio di Luis Herrera, nazionale colombiano in forza al National. Fu richiesto un maxi riscatto e il difensore si rese protagonista di un appello televisivo per riavere il bambino. Nel 1990 un arbitro fu ucciso perché non accettò le richieste di una combine per una partita.

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Pablo Escobar

Il calcio non era più un gioco. Lo capirà ben presto il nostro Andres. 27 anni, il più forte difensore del calcio colombiano, idolo dei tifosi dell’Atletico National e un probabile futuro in Europa, nel calcio che conta. L’allora Milan di Sacchi era sulle sue tracce. Ma un autogol negherà tutto ciò. Andres Escobar il 29 giugno rientrò in Colombia, lo accolse la sua fidanzata, ma era un morto che camminava.  Apatico, assente, vagava per la città e lo fece per quattro giorni. Fino a quando il 2 luglio dopo una serata con alcuni amici, in un parcheggio ci fu un alterco con tre uomini a bordo di una Toyota Land Cruiser nera. “Venduto, Frocio”. Questi furono alcuni epiteti rivolti ad Andres, che reagì ma invano, quando sul suo corpo l’ex guardia giurata Humberto Munoz Castro, poi reo cofesso, gli scaricò sei colpi di mitraglietta. Escobar arrivò alla Clinica Medellin già morto. Si consumerà una delle morti più oscure, assurde e grottesche. Il movente? Non è mai stato chiarito ufficialmente, ma in fondo non ci si poteva aspettare altro in un paese letteralmente in mano alle organizzazioni criminali. La realtà è semplice e palese. Andres, con il clamoroso autogol costato l’eliminazione della sua nazionale dalla rassegna mondiale, fece perdere una montagna di denaro ad un grosso clan di scommettitori di Medellin che, ridotto sul lastrico, non potevano che fargliela pagare in questo modo. La Colombia del “narcofutbol” aveva le sue regole e violarle era una condanna a morte, e anche non vincere una partita di calcio poteva  significare ciò. A più di vent’anni dalla sua scomparsa, in una Colombia più “normale”, Escobar è ancora vivo nel cuore dei tifosi dell’Atletico National che intonano cori in suo onore e che in un certo qual modo, se è possibile, rendono un po’ meno terribile e amara la sua tragica e inconcepibile uccisione.

Andres Escobar

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