Marco Cappato sui diritti “Abbiamo perso 40 anni”

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Marco Cappato, radicale, leader dell’associazione Luca Coscioni  e promotore della proposta di legge Eutanasia Legale. Conosciamolo meglio.

Dopo la morte di dj Fabo, abbiamo voluto incontrare Marco Cappato per conoscere meglio lui e le sue battaglie per i diritti civili, ecco cosa ha raccontato ad OpenMag.

Facciamo un po’ di chiarezza: ci spiega la differenza tra eutanasia, suicidio assistito e rifiuto delle cure?

L’eutanasia è innanzitutto un’idea generale: morire bene, cioè senza soffrire e in modalità il più possibile simili a come si vuole. Dunque, in questi termini, potrebbe applicarsi a ogni situazione di aiuto o assistenza che consenta di morire peggio possibile. C’è poi chi intende il termine “eutanasia” in senso molto più stretto, cioè l’aiuto del medico nel somministrare una sostanza letale al malato che lo chiede: è detta anche “eutanasia attiva”, e, in Europa, è legale solo in Olanda, Belgio e Lussemburgo. In Svizzera invece è il malato stesso che deve autosomministrarsi la sostanza, prescritta dal medico: è questo l’aiuto medico alla morte volontaria, detto anche suicidio assistito. Entrambe queste pratiche sono vietate in Italia, dove invece la Costituzione consente l’interruzione delle terapie, eventualmente anche sotto sedazione, anche quando ciò conduca alla morte.

Alla luce di quanto accaduto, come commenta le recenti dichiarazioni del capo dello Stato, Mattarella, per cui nessun malato deve sentirsi invisibile o dimenticato, mentre l’eutanasia continua ad essere un pensiero proibito?

Assistere e curare i malati è doveroso, ma non c’è alcun contrasto tra il dovere di aiutare ciascuno a vivere al meglio e il dovere di rispettare l’eventuale scelta di porre fine alla propria esistenza. E’ una contrapposizione fasulla, che porta nel nostro Paese al dilagare dell’eutanasia clandestina, della morte in esilio o dei suicidi per disperazione nelle condizioni più terribili.

Secondo lei, qual è la causa principale per cui tardano ad arrivare le risposte della politica sul fine vita?

Il potere difficilmente resiste alla tentazione di occuparsi dei corpi delle persone. E’ un tratto comune di totalitarismi e fondamentalismi, che in Italia prende piede grazie alla debolezza della cultura liberale e libertaria.

Il caso Englaro e dj Fabo a confronto: due facce della stessa medaglia? O il diritto all’autodeterminazione vale solo per chi è ancora in grado di esprimere la propria volontà?

Sono situazioni diversissime, ma legate dalla questione della espressione della volontà. In realtà, è stata Eluana Englaro e vedersi riconoscere il diritto di interrompere i trattamenti, mentre Fabo ha dovuto andare in Svizzera. Ciò accade proprio perché l’ordinamento italiano riconosce l’azione “passiva” e non quella “attiva”.

Crede veramente che il suo gesto di autodenunciarsi possa servire al Paese per assumersi le proprie responsabilità e colmare finalmente questo vuoto legislativo?

 Il Parlamento ora sta discutendo quantomeno di consenso informato e testamento biologico. Non credo che sarebbe accaduto, o almeno non ora, senza Fabo e l’aiuto che gli ho dato.

In cosa crede Marco Cappato?

Nella libertà, anche di sbagliare. E nell’amore, che senza libertà non ha senso.

L’Italia in tema di diritti, in generale, rispetto ad altri Paesi Europei, è un po’ un fanalino di coda, non crede?

E’ oggettivamente così. Abbiamo perso la grande occasione della stagione referendaria radicale degli anni ’70 (divorzio, aborto, obiezione di coscienza alla leva militare, leggi sui diritti dei transessuali): allora eravamo all’avanguardia, poi ci siamo fermati su finevita e unioni civili, o siamo andati indietro su fecondazione assistita e libertà di ricerca scientifica. Il riflusso proibizionista e clericale ci ha fatto perdere 40 anni.

In questi anni di battaglie civili, cosa è cambiato?

La giurisprudenza, almeno quella, ha fatto fare grandi passi avanti. Come Associazione Luca Coscioni abbiamo ottenuto che fossero smontati i divieti della legge 40 e che il diritto a sospendere le terapie fosse immediatamente operante anche in assenza di una legge. E’ stato merito delle singole persone che hanno avuto fiducia in noi, incerando il nostro motto “dal corpo dei malati al cuore della politica”.

La società civile è divisa. In molti pensano che la decisione di togliersi la vita, per certi versi, sia una mancanza di rispetto nei confronti di chi questa scelta invece non l’ha potuta fare. Cosa risponde lei?

In realtà, l’opinione pubblica è più avanti della politica. Il Paese è pronto a regole che riconoscano la libertà di scelta, i partiti meno. Questo accade perché la gente ha capito che, comunque una persona la pensi, non  è giusto imporre le proprie scelte agli altri.

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