Il vuoto legislativo porta ad un abuso di potere? Due testimonianze di casi “mal gestiti” di Trattamento Sanitario Obbligatorio portano alla luce una nuova proposta di riforma per una giusta tutela dei diritti di chi involontariamente non può difendersi.
Volontà è certamente sinonimo di tenacia e fermezza, ma è in particolare espressione di desideri o, in casi di pericolo, di tutela dei diritti. Cosa accade quindi nel momento in cui una persona,” non per propria volontà ”, si trova nelle condizioni di non poter far valere i propri diritti? In un paese con una buona tradizione di Welfare State alle spalle, un sistema di leggi dovrebbe tutelare il cittadino invalido, ma in Italia, per quanto riguarda il TSO, (trattamento sanitario obbligatorio n.d.e.) il vuoto legislativo (apparente) lascia ampio margine di decisione a terzi, come dimostrano due recenti testimonianze di casi mal gestiti e trasformatesi in violazioni con la conseguente urgenza di una proposta di legge per regolamentare il vuoto. I Radicali Italiani si fanno portavoce di questa proposta che si impone nell’eterna lotta tra legislazione, benefici e potere.
Cronache del TSO in Italia.
“Tutti ne parlano, pochi ne sanno”; un detto calzante soprattutto quando si parla di TSO, un po’ per la fobia socio-culturale che si porta dietro da sempre, un po’ per la confusione legislativa che lo circonda. Il TSO, abbreviazione di trattamento sanitario obbligatorio, è un’insieme di procedure sanitarie normate e con specifiche tutele che possono essere applicate in caso di motivata necessità e urgenza clinica, conseguenti al rifiuto al trattamento del soggetto che soffra di una grave patologia psichiatrica non altrimenti gestibile, a tutela della sua salute e sicurezza.
Il TSO viene disposto dal Sindaco del Comune presso il quale si trova il paziente, su proposta motivata da due medici, e può essere eseguito sia in ambito ospedaliero che presso l’abitazione. La procedura impone la convalida del provvedimento del sindaco da parte del giudice tutelare di competenza e soprattutto viene disposta quando si verificano contemporaneamente due condizioni: nel caso in cui una persona affetta da malattia mentale necessiti di trattamenti sanitari urgenti e la stessa decida di rifiutarne le cure.
A normare il Trattamento Sanitario Obbligatorio (almeno per ora) ci pensa la “Legge Basaglia” (n. 180/1978),  dal suo inventore, lo Psichiatra Franco Basaglia, per affrancare la logica manicomiale e quindi sostituire la precedente normativa del 1904 riguardante il “ricovero coatto”, facente riferimento più che altro al concetto di difesa e pericolosità sociale. Nonostante l’impegno nel creare un importante apparato legislativo che regolamentasse il trattamento e, nonostante la risoluzione ONU del 1991 stilata secondo una serie di principi da rispettare in caso di ricovero coatto, ciò che vengono sempre calpestati sono i diritti e la dignità dei cittadini sottoposti a TSO, come dimostrano sia due recenti testimonianze, sia la nuova proposta di legge formulata dai Radicali Italiani.
Attestazioni di dolore nell’immobilismo delle Istituzioni.
Il caso Mastrogiovanni, da cui prenderebbe nome la Riforma di Legge dei Radicali, è la parabola esemplare del paradosso fondante che paralizza il TSO in Italia, promotore sulla carta di assistenza e sostegno ma che al contrario non tutela il diritto alla dignità . E’ l’estate del 2009 quando Francesco Mastrogiovanni, ricoverato dalle forze dell’ordine al centro di salute mentale dell’ospedale San Luca, a Vallo della Lucania, si spegne nel suo letto dopo 3 giorni e mezzo di agonia, con mani e piedi legati ininterrottamente e un solo pasto accompagnato da una flebo di un litro nell’arco di 87 ore.
Dopo anni di lotte ininterrotte finalmente arriva la sentenza della Corte d’Appello di Salerno con la conferma della condanna dei sei medici e degli undici infermieri che hanno avuto in cura il paziente, fornendo così il giusto pretesto per riaprire il dibattito politico (ormai diventato asettico) e per formulare una proposta di legge che si ponga realmente a garante di custodia degli indifesi.
La testimonianza di Marcello e la necessità dell’intervento.
Testimonianze come la storia del Professor Mastrogiovanni (o di Andrea Soldi e Mauro Guerra) non sono la voce isolata in un contesto di giustizia (e giustezza) psichiatrico-sanitaria, anzi rischiano di diventare la macabra routine a cui ci si abitua per inerzia, in una società dominata dall’estetica del dolore (o dell’orrore).  Il 21 Aprile scorso infatti, presso la Camera dei Deputati, il discorso del padre di Marcello, ragazzo di Napoli deceduto a soli 32 anni lo scorso Giugno a seguito di una pessima esperienza di TSO alle spalle, ha raggiunto tutti i presenti contemporaneamente come un grido di rabbia e una richiesta di aiuto davanti a delle Istituzioni fino ad ora cieche e immobili.
La storia di Marcello, dalla non accettazione della malattia (schizofrenia e disturbo bipolare) a soli 19 anni, ai vari TSO subiti che lo hanno portato poi ad essere internato nell’ospedale giudiziario, fino al rilascio nel Gennaio 2016 e alla morte per due colpi di pistola da parte di un poliziotto. Questa vicenda dimostra non solo le incongruenze, ma anche l’incapacità nel sapere gestire (sia a livello sanitario che giudiziario) una persona con infermità mentale contraria ai trattamenti, provando i limiti di un sistema sottoposto a poco controllo e in gestione di un potere auto imposto.
A trasformare questa storia in una tragica vicenda, infatti, è stata propria la mancata applicazione del protocollo di intervento da parte della polizia. Durante un episodio in cui Marcello manifestava evidenti sintomi della malattia non è stato contattato il dipartimento di salute mentale, come si dovrebbe fare in questi casi, ma è stata chiamata l’ambulanza per intervenire in un caso di agitazione psicomotoria e quando la squadra di soccorso è arrivata ha trovato il giovane ferito in un lago di sangue.
La Proposta di Legge come allegoria del rinnovamento.
Di fronte a storie di ingiustizia e omertà come quella di Marcello e di Francesco Mastrogiovanni c’è chi inizia ad agire perché fatti del genere vengano impediti sistematicamente, e la riforma del TSO chiesta dai Radicali Italiani si muove proprio in questa direzione. La “Legge Mastrogiovanni” infatti parte dal paradosso sull’articolo 13 della Costituzione, che prevede il controllo sulla legalità delle condizioni di privazione della libertà personale ma che, inverosimilmente, non è previsto in caso di privazione della libertà per TSO.
In linea perciò con quanto raccomandato dagli organismi internazionali (oltre all’ONU già citata anche il Consiglio d’Europa prevede disposizioni in merito) la Riforma di Legge da Parte dei Radicali punta ad abrogare gli attuali articoli 33 e 35 che regolano la materia contenuti nella legge che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale, istituendo de facto una serie di confini giuridici da rispettare per impedire abusi ai danni del paziente.
Da un punto di vista strettamente tecnico-giudiziario quindi la riforma vorrebbe migliorare i controlli sulla legittimità del trattamento obbligatorio, sia con l’introduzione della notifica del provvedimento al paziente accompagnata da un’informativa sui diritti nella procedura, che con l’assistenza di un avvocato per legittimare l’aspetto legalistico del trattamento. Da un punto di vista invece pratico-esecutivo, la conditio sine qua non per l’accettazione TSO riguarda il divieto di utilizzare strumenti di contenzione meccanica oltre che la necessità di salvaguardare la comunicazione con l’esterno del paziente, permettendo sia le visite che l’utilizzo di altri strumenti di comunicazione.
In un mondo sempre più garante dei diritti inviolabili dei cittadini (almeno per la società occidentale), qual è il prezzo da pagare per non violare il “sacro” diritto a rispettare le volontà altrui?