One Love Manchester. Il ritmo della vita oltre le ipocrisie

one love manchester Il ritmo della vita (oltre le ipocrisie)

A Manchester riflettori nuovamente accesi sul palco, dopo il buio del 22 maggio. One Love Manchester: storia di un linguaggio universale che cerca di andare oltre l’ipocrisia.

Quanti, sopra i 20 anni, conoscessero Ariana Grande e le sue canzoni prima dell’attentato di Manchester è una domanda che in tanti ci siamo posti. Quanto sia servito, per cambiare le cose, un concerto come One Love Manchester e quale sia la risposta corretta alla nuova ondata di terrorismo che ha colpito l’Occidente (e non solo) sono i primi di una serie di dubbi che i recenti attacchi terroristici hanno sollevato.

Questo mese su Openmag abbiamo deciso di parlare di libertà. E, per farlo, non potevamo prescindere dal mondo che ci circonda, con tutte le difficoltà e gli attacchi a un concetto che tiene da sempre gli uomini impegnati in una continua ricerca. Perciò, anche a costo di apparire banali, siamo voluti partire da Manchester. Ci siamo teletrasportati su quel palco sforzandoci di guardare da un’altra angolazione un evento del quale si è detto di tutto e di più. In questo modo il concerto di Manchester ha trovato spazio anche sulle pagine di Openmag, accompagnato però dalla voglia di raccontare qualcosa di diverso.

One Love Manchester

Il messaggio di One Love Manchester è risuonato forte e chiaro in queste ultime settimane. L’amore come arma e risposta all’odio. O, ancora, un concerto presentato come una nobile reazione a chi continua ad attaccarci in quelli che sembravano esser ormai i punti di forza di questa società, costruiti in tanti anni con estrema fatica.

Punti di forza, dicevamo. Valori intangibili, come la libertà. Quella tanto inseguita da una democrazia a volte arrogante e probabilmente ancora molto imperfetta, ma anche per questo bella da continuare a costruire e veder crescere. Ed è proprio contro questa opera di incessante costruzione – e di continua ricerca della propria individualità e libertà – che si scaglia l’ira di chi vuole imporre la propria visione, l’unica ritenuta “giusta”.

Lo scorso 4 giugno, a Manchester, su quel palco non è solamente andato in scena un concerto con l’amore a far da protagonista. Non una risposta (ipocrita?) a una paura che ormai ci pervade e si insinua strisciante esponendoci in tutta la nostra vulnerabilità. Non una scusa servita sul piatto a qualche pop star piena di sé o alla ricerca di visibilità sul palco.

Lo scorso 4 giugno, a Manchester, si è lasciato che a rispondere alla paura, al lutto, alla rabbia fosse la musica. In un “gioco” in cui, mentre il terrorismo cerca di imporre il suo linguaggio di violenza e non dialogo, le “vittime” rispondono al ritmo di una delle espressioni di libertà più antiche e profonde: la musica.

Viva la vida

Coldplay, U2, Take That, Robbie Williams, Justin Bieber, Black Eyed Peas e tanti altri gli artisti sul palco del One Love Manchester. Videomessaggi, inni di amore, abbracci, emozioni, parole… E lo spettacolo è servito. Ma a scaldare gli animi è quella sensazione, l’atmosfera che anche il più piccolo concerto – se sincero e realmente sentito – diventa capace di trasmettere.

Così, in un mondo che spesso si veste di ipocrisia, anche “Somewhere over the rainbow”, “Where is the love” e Paul McCartney che augura “amore a tutti voi” non suonano poi così scontati. E One Love Manchester sembra risuonare invece come uno squarcio che prova a far fuoriuscire l’autenticità dei sentimenti.

Per questo motivo cantare d’amore, di vita e parlare da un palco della speranza che si possa presto tornare ad esser liberi di esprimere le proprie opinioni, il proprio modo di vivere, la propria individualità hanno creato un’incredibile partecipazione (50mila i presenti, dirette in oltre 38 paesi e sui social). Tanto da far paragonare One Love Manchester ad altri grandi eventi musicali del passato.

Quindi si, forse “loro ci ammazzano e noi cantiamo”. O forse, invece, stavolta abbiamo provato a ripartire, scavando tra quei valori che “loro” provano a portarci via, trovandoci però ancora liberi di parlare attraverso un linguaggio universale. Quello della musica.

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