Sapevi che quando decidi come vestirti stai esercitando un tuo diritto? Quello del diritto al vestiario. Scopriamo insieme come tutelarlo e proteggerlo.
Che bel mese dicembre! Lo viviamo in attesa del Natale ma anche pieni di propositi per l’anno che verrà. Un’atmosfera calda e accogliente ci avvolge e ci accompagna verso la fine dell’anno, un po’ come dovrebbero avvolgerci quotidianamente i diritti dei quali godiamo.
Il diritto al vestiario
Ti starai chiedendo cosa c’entri la nostra rubrica di moda con i diritti umani. In un primo momento anche noi ce lo siamo chiesti ma un attimo dopo, con immensa sorpresa, abbiamo scoperto che nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani si parla anche del diritto al vestiario. Sì, proprio così!
Stiamo parlando dell’articolo 25, in cui il vestiario viene considerato – assieme all’alimentazione, all’abitazione e alle cure mediche – uno degli elementi che vanno a definire il benessere della persona.
I diritti non passano di moda!
Nonostante la globalizzazione abbia fatto in modo che il nostro modo di vestire ci uniformasse il più possibile, in molte parti del mondo indumenti specifici divengono simboli di forte valore culturale e religioso. Indossare un capo o meno non ha quindi a che fare solamente con la moda. Ne sono un esempio l’hijab o il sari indiano, entrambi con un significato che va ben oltre la scelta dell’individuo. Sono espressione di una cultura e di una religione specifica. Ne consegue, pertanto, che rispettare e tutelare l’abbigliamento di qualcuno porta di riflesso a proteggerne il diritto non solo all’autodeterminazione nel vestiario ma anche nell’esprimere la propria cultura e religione.
Ma cosa avviene se improvvisamente si deve fuggire dal contesto nel quale si vive e ci si ritrova catapultati in uno in cui cultura e religione sono differenti? E se questa fuga avviene durante la pandemia?
Give your best
Nel 2020, il lockdown ha reso impossibile per diverso tempo l’accesso ai negozi di abbigliamento. Nonostante tutto, alla maggior parte di noi, la possibilità di comprare abiti online è risultata facile e diretta.
Nel Regno Unito, però, Sol Escobar, una volontaria di associazioni umanitarie si sentiva frustrata per il fatto di non poter aiutare alcune rifugiate di sua conoscenza nel trovare capi di abbigliamento senza che dovessero pagarli. Inoltre, la loro appartenenza a gruppi etnici rendeva ancora più complicato reperire indumenti specifici.
E’ così che è nato Give Your Best, un portale nel quale ognuno di noi può inserire dei capi che non indossa più e donarli alle rifugiate. Abiti da cerimonia, da lavoro e casual vengono esposti su questo shop gratuito dove chi ne ha bisogno può richiedere di farsi recapitare un capo di abbigliamento. Non si tratta solamente di scegliere tra i vestiti proposti: “Give Your Best” dà la possibilità di esercitare il diritto di autodeterminare il proprio abbigliamento in modo da esprimere al meglio la propria persona e, di riflesso, la propria cultura.
Lo scopo dell’iniziativa di Sol agisce su due fronti: quello ambientale e sociale. Se da un lato riutilizzare degli abiti dismessi evita di contribuire agli impatti che il sistema della moda ha sull’ambiente, dall’altro si tutela il diritto al vestiario delle donne rifugiate e all’autodeterminazione nell’abbigliamento.
Partecipare all’iniziativa è semplice e può farlo chiunque. Con un piccolo gesto possiamo dare il nostro meglio e proteggere il diritto al vestiario di chi ne ha più bisogno. Si, perché anche se in molti non sapevamo neanche dell’esistenza del diritto al vestiario, ragionare insieme è l’arma che può aiutarci a rendere il mondo sempre più inclusivo.
Così che i diritti non passino mai di “moda”.