Disobbedienza civile e attivismo: quali sono le modalità – più o meno giuste – usate dai cittadini oggi per far valere i propri diritti?
“C’è bisogno di purè di patate su un quadro per farci ascoltare? Questo quadro non avrà alcun valore se ci troveremo a lottare per il cibo. Quando inizierete a sentire?”.
Queste le parole pronunciate durante l’ultimo episodio di disobbedienza civile ai danni de Il Pagliaio, di Monet. Ed è solo uno degli avvenimenti di questo genere nelle ultime settimane. L’episodio, precedente a quello appena raccontato, che ha avuto il merito di risvegliare le coscienze riguardo il tema del cambiamento climatico è avvenuto non a Berlino, ma a Londra: con il lancio di una latta gli attivisti di Just Stop Oil hanno colpito un quadro di Van Gogh per concentrare l’attenzione sul cambiamento climatico. Lo schema è sempre lo stesso: gli attivisti si recano davanti simboli artistici per poi osservarli e mettere in atto i loro piani. Subito dopo il lancio, il discorso: con le crude parole da loro pronunciate si raggiunge l’obiettivo di risvegliare le coscienze sul tema oggetto della protesta.
Attivismo civile e Italia: un rapporto non facile
Anche a livello nazionale si possono rintracciare episodi di questo tipo. Ad essere protagonisti gli attivisti di UltimaGenerazione, autori degli ultimi episodi di disobbedienza civile a Roma. Tuttavia in questo caso si tratta di proteste che non riescono ad ottenere i risultati desiderati e che non si avvicinano, perlomeno come feedback, a quelli esteri. Il blocco del GRA, messo in atto in più riprese nella Capitale, colpisce infatti solo i lavoratori e non la classe politica che, insieme alla sua indifferenza sul tema ambientale, è la protagonista della protesta.
L’importanza della funzionalità di una protesta: non sempre il fine giustifica i mezzi
La differenza sta tutta nell’organizzazione e nella funzionalità delle azioni messe in atto. Basti pensare all’attacco ai Girasoli di Van Gogh: l’opera d’arte, in virtù dell’enorme valore artistico, è protetta da un vetro. Questo, gli attivisti, lo sanno bene, ma forse non lo sa la popolazione: colpendolo si voleva suscitare una reazione emotiva intaccando l’attaccamento ad un simbolo e attirare su di sé l’attenzione mondiale cercando di cambiare lo stato attuale delle cose.
Il caso italiano è differente: in una “lotta” che vede il popolo contrapposto alla classe politica, scegliere modalità d’azione che vedono come vittime solo i cittadini non è la scelta più azzeccata; in conclusione, potrebbe anche dar luogo ad un effetto boomerang screditando l’idea condivisa che si ha della disobbedienza civile e delle proteste non violente.
Ma cos’è, quindi, la disobbedienza civile?
Tutte quelle forme di lotta che una singola persona o un gruppo mettono in atto venendo meno al rispetto di una legge percepita come ingiusta. L’obiettivo prioritario, quindi, è quello di rendere palese come una determinata situazione leda i diritti di qualche fascia della popolazione. Si tratta di un classico momento di rottura nel rapporto tra il cittadino e lo Stato: i primi sono disposti, infrangendo la legge, a dimostrare di percepire come sbagliate determinate misure legislative. L’importanza di questa tipologia di interventi è quella di essere non violenta: è tramite piccole azioni quotidiane che è possibile attirare l’attenzione e dare il via al cambiamento.
Dalla storia si impara: le origini della disobbedienza civile.
Com’è cambiata, negli anni, la visione riguardante questo fenomeno? Come si è arrivati ad un approccio di danno al “patrimonio” sui due famosi dipinti? In origine era la persona al centro delle azioni di disobbedienza civile; così fu, ad esempio, nel periodo della segregazione razziale americana. Protagonista di un famoso episodio fu una giovane afroamericana, la quale si trovava su un bus e fu quasi obbligata a cedere il posto ad una donna bianca. Claudette non cedette e, grazie all’appoggio di altri cittadini afroamericani, fu incoraggiata a non alzarsi salvo poi essere obbligata ad abbandonare il mezzo. Il successivo episodio di Rosa Parks, poi, diede il via ad ulteriori proteste, le quali diedero alla cittadinanza la forza necessaria per non mollare finché le amministrazioni non cedettero e diedero vita a servizi più egualitari. Da pochi episodi fu possibile arrivare poi alla dichiarazione di anti-costituzionalità – da parte della Corte Suprema – della segregazione razziale su bus pubblici.
Negli anni il fenomeno ha spesso cambiato le sue vesti, passando da una disobbedienza civile fondata sugli ideali e sulla ricerca di eguali diritti, fino a trasformarsi in un concetto più fisico e dimostrativo, pur conservando le sue radici non violente. Che questo, quindi, non sia altro che l’ultimo dei numerosi step che ancora attraverserà questo fenomeno?
Diciamo che forse non resta che continuare a disobbedire… Ma civilmente.
A cura di Benedetta M. Papale