Nello sport i gesti che ci fanno appassionare sono tanti: atletici, tecnici, di giocoleria, pura maestria o gesti che condividono battaglie esterne. Tutti questi, a volte anche gesti ribelli, creano quell’alone di poesia che c’è attorno allo sport.
Se pensiamo alla poesia, probabilmente pensiamo a qualcosa di ordinato, scandito da rime e regole precise. Nello sport la situazione è invece spesso tutta al contrario. I gesti anche ribelli che troviamo in questo settore sono infatti fuori da qualsiasi schema o regola, eppure, hanno un potere così grande da cambiarle.
Partiremo da un gesto tecnico talmente celebre, che è ormai divenuto norma.
La poesia del Salto in Alto
Il salto in alto, in particolare in Italia, è recentemente salito agli onori delle cronache grazie a Gianmarco “Gimbo” Tamberi, campione olimpico e di Fair Play dell’ultima rassegna iridata, pari merito con Mutaz Barshim.
Più alto di un metro e novanta, non possente, eppure leggiadro quando si appresta a saltare la famosa asticella. In questo sprto bastano uno, due, tre passi ben calibrati e poi ci si gira di schiena, spingendosi verso l’alto per poi cadere sul materassino dall’altro lato.
Quante volte ci siamo detti “Come vorrei saperlo fare anch’io!”. Ma non è una cosa da tutti.
E forse non tutti sanno che questo gesto leggiadro e poetico al contempo non è sempre stata la norma del salto in alto. Infatti, fino all’Olimpiade di Città del Messico 1968, si praticava il cosiddetto “scavalcamento ventrale”, cioè si saltava l’asticella “di pancia”.
Il mito di Dick Fosbury
Quelle Olimpiadi, leggendarie sotto molti aspetti, ci presentano un ragazzino americano che non salta affatto come gli altri. Dick Fosbury infatti, a soli 16 anni, sbaraglia la concorrenza USA con questo suo salto dorsale, assicurandosi la convocazione per la spedizione olimpica.
E non solo! Proprio a Città del Messico stabilisce il nuovo record olimpico di salto in alto di 2,24 metri! Nasce così il “Fosbury Flop”, ovvero il “salto alla Fosbury”. In molti avevano pensato a questo come una stranezza e al povero Dick, come uno che voleva farsi notare.
Invece, ribellandosi agli schemi, Fosbury non solo si fa notare ma cambia per sempre la storia dello sport. C’è da dire che questa tecnica era già stata usata in precedenza, eppure, non aveva mai prodotto questi risultati.
Rivoluzioni all’Italiana
Passando sul suolo nazionale, anche noi abbiamo avuto i nostri “eroi rivoluzionari”. E come sport andiamo al ciclismo, uno dei nostri cavalli di battaglia, ma stavolta non a quello su strada bensì quello su pista.
Siamo nel 1984 e il record dell’ora appartiene a Eddy Merckx, detto “Il cannibale”. Per chi non lo sapesse, il record dell’ora consiste in una corsa contro il tempo, con partenza da fermo, e la percorrenza di più chilometri possibili all’interno del velodromo in 60 minuti.
Merckx con una distanza percorsa in un’ora appunto, di 49,431 km, sembrava inarrivabile.
Francesco Moser e la Bici Lenticolare
Nell’84 si presenta al velodromo, sempre di Città del Messico (il caso!), un certo Francesco Moser, con una bici “diversa”. Infatti, la bici di Moser, non ha le ruote a raggi, ma piene, le ruote vengono infatti dette “lenticolari”. Il record dell’ora e soprattutto quello di Merckx vengono infranti: 50,808 km, che quattro giorni dopo passano a 51,151 km.
Nota amara per Moser: nel 2000 l’Unione ciclistica internazionale cancella i suoi record con la motivazione che la bici a ruote lenticolari lo avrebbe avvantaggiato. Ancora oggi si distingue il “Record dell’Ora” (bici tradizionale) con “Miglior prestazione sull’ora” (bici speciali).
L’Italia però può sorridere e siamo sicuri che anche Francesco Moser lo faccia, perché ad oggi entrambi i primati appartengono a Filippo Ganna! La distanza complessiva coperta è di ben 56,792 km.
Ricordiamo che oggi, in ogni caso, le bici con ruote lenticolari vengono prevalentemente usate nel ciclismo su pista. Quindi, anche il nostro Moser ha dato un contributo non indifferente alla storia dello sport.
Sport, “Arte Ribelle”
Insomma, abbiamo parlato qui di casi in cui “l’eccezione conferma la regola”.
Casi in cui si è deciso di uscire dagli schemi, regalando a questi sport nuova linfa vitale. Di “ribellarsi”, in qualche modo, e ricercare nuova poesia in gesti o mezzi inconsueti.
In fondo, la storia ci insegna che l’innovazione, appena nata, è sempre stata malvista, per poi divenire spesso una consuetudine.
Un esempio sono i Romantici, derisi e pensati come “decadenti”, che si appropriano del termine per autodefinirsi. E anche Gli Impressionisti, dal quadro di Monet, anche loro presi per indefiniti, mentre oggi hanno un museo interamente dedicato a loro.
Insomma, lo sport può essere poesia, arte. Non schematica, molto probabilmente “ribelle”, ma non la vorremmo in nessun altro modo.