Confronto tra due artiste iraniane e il loro modo di raccontare storie di donne. Una visione internazionale, ma anche censurata nel paese d’origine.
Shirin Neshat è una fotografa, regista, artista di arte visiva contemporanea. Nacque il 26 marzo 1957 in Iran in una famiglia borghese sostenitrice dei valori della società dello Scià dell’Iran. Come conseguenza dell’ammirazione della famiglia verso l’ideologia occidentale inizia i suoi primi studi in una scuola cattolica di Teheran. Nel 1974 si trasferisce a Los Angeles per motivi di studio. Durante la sua permanenza negli USA nel suo paese d’origine scoppia la rivoluzione islamica iraniana che provocò una ristrutturazione politica costringendola a un esilio forzato fino al 1990. Dal 1993 si cimenta nella creazione di opere ostili al governo iraniano che decide di censurarle e non farle circolare nel Paese.
Un ritorno in bianco e nero
Shirin Neshat torna in patria nel 1990 e constata una realtà totalmente diversa da come l’aveva lasciata anni prima. La visione di un contesto tanto diverso e perturbante le provoca, per sua stessa ammissione, un profondo shock, ma è anche la scintilla che innesca la sua esplosione creativa. Con il ciclo di opere intitolato Women of Allah (1993-1997) l’artista iraniana imposta un duplice discorso; da una parte rimanda ai conflitti che attraversano il mondo orientale, a cui si sente naturalmente legata, e dall’altra a come queste pressioni sono giudicate dal mondo Occidentale verso il quale non rinnega la sua appartenenza.
La fotografia e il video sono gli strumenti privilegiati dall’artista per raccontare questa dicotomia rappresentata visivamente dall’uso del bianco e nero. Shirin si serve dell’assenza del colore per portare all’attenzione dello spettatore storie di donne vittime di soprusi che ledono la loro dignità e le condannano a una vita priva di colori .
Un’ondata di colori nelle strade di Kabul
Un’altra artista iraniana che usa la propria arte per trasmettere un messaggio è Shamsia Hassani, divenuta famosa per i suoi graffiti. Nata nel 1988 è attualmente professoressa all’università di Kabul ed è la prima artista donna dell’Afghanistan. Shamsia realizza le sue opere sui muri delle case nelle strade di Kabul mettendo a rischio la propria esistenza. In ogni suo murales compare una donna, ritratta in diverse pose e spesso accompagnata da uno strumento musicale usato come oggetto che rivendica la libertà delle donne islamiche di cantare pubblicamente. Spesso i soggetti dei graffiti di Shamsia hanno gli occhi chiusi perché come lei stessa ha dichiarato non c’è niente di buono intorno a loro. Anche Shamsia come Shirin si avvale del suo mezzo artistico per raccontare una storia, per esorcizzare un dolore e per affermare l’identità delle donne islamiche.
A differenza delle fotografie della Neshat, i graffiti di Shamsia si riconoscono per l’esplosione di colori vividi e brillanti che hanno portato un ‘ondata di incoraggiamento al Paese. I volti femminili di questi dipinti avvolti da un manto di dolcezza e delicatezza dimostrano in realtà una forza dirompente che riesce a fare breccia nell’animo di tutte le donne che vogliono rivendicare la propria libertà.
Femminilità e martirio. Opere a confronto delle due artiste iraniane
Silenzio Ribelle è il titolo di una delle istantanee del ciclo Women of Allah, che ritrae la stessa Shirin avvolta dal velo mentre ha in mano un fucile poggiato simmetricamente sul volto che richiama il gesto del silenzio. L’unico frammento visibile del suo corpo è il volto che funge da tela su cui imprime i versi di una poesia scritta da Tahereh Saffarzadeh. I due temi chiave dell’opera sono l’obbligo di portare il velo e l’obbligo del silenzio in pubblico imposto alle donne in quel periodo. Con quest’opera la Neshat sta esprimendo la sua critica verso una società in cui vigono regole dispotiche nei confronti delle donne, ma allo stesso tempo invita lo spettatore a riflettere sul vero significato che il velo ha per le donne islamiche.
Come recitano i versi del testo impressi sul volto di Shirin, il velo rispecchia la femminilità delle donne in Iran per le quali è uno strumento di emancipazione e di protezione dagli sguardi erotici maschili.
Melody of Spring è il titolo di una serie di murales di Shamsia Hassani in cui al soggetto femminile sono invece accostati strumenti musicali. La violenza delle armi fotografate dalla Neshat lascia il posto alla delicatezza di un pianoforte o di un violino che evocano la creatività e la dolcezza insite nell’essere femminile.
Il racconto
Ad entrambe le artiste iraniane interessa descrivere la condizione delle donne islamiche tramite alcuni elementi totemici ricorrenti . Le donne di Allah sono il simbolo di una lotta delicata, silenziosa, ma intrisa di rabbia, che accomuna tutte le donne vittime di un destino di invisibilità e sopportazione. I graffiti di Shamsia sono un’esplosione di forza e vitalità. Eppure hanno anche i tratti di chi sa che dovrà superare ancora tante sfide per poter giungere a una piena espressione di sé.
Il soggetto delle opere di queste due artiste iraniane è sempre lo stesso, un’unica donna, ma che assume le sembianze di ogni donna che vuole affermare la propria identità, non in quanto islamica, ma in quanto donna.