Cosa significa parità di genere in contesti diversi? Qual è la visione che ogni paese ha del ruolo della donna, del linguaggio, dei diritti? E cosa succede quando queste visioni si incontrano, si scontrano, si mettono in discussione?
Aprire e aprirsi a una nuova visione sulla parità di genere: è da qui che è partito tutto.
Dal 25 aprile al 3 maggio a Djerba, in Tunisia, un gruppo di giovani provenienti da Italia, Palestina, Grecia, Spagna e Tunisia ha cercato di rispondere a queste domande. Il progetto internazionale GRL POWER RELOADED, che segue il precedente Euromediterranean Girl Power, ha coinvolto cinque paesi rappresentati da altrettante associazioni: Voix d’Enfant Rural (Tunisia, il paese ospitante) AICEM (Italia), Witness (Palestina), Hellenic Youth Participation (Grecia) e Neteurope (Spagna).
Tra workshop, riflessioni guidate, discussioni libere e momenti informali, il confronto si è fatto reale. Ognuno ha portato con sé una prospettiva, e la possibilità di metterla in discussione. Le diverse visioni non sono rimaste astratte: sono al contrario diventate quotidiane, condivise, volte a realizzare attività concrete.
La visione dell’Italia, tra le contraddizioni di un cambiamento a metà
Nel dialogo tra paesi, è stato inevitabile soffermarsi sulla visione italiana. La possibilità di trasmettere ai figli il cognome materno, introdotta nel 2022, è ad esempio un cambiamento simbolico importante ma resta un’eccezione più che una regola. I media continuano a proporre immagini femminili filtrate e irreali, e la violenza sulle donne non sempre viene raccontata con il linguaggio giusto. Il termine “femminicidio” è spesso evitato o usato impropriamente, e solo in parte riflette la dimensione strutturale del problema. Per fare un esempio ancora oggi si parla più dell’assassino che della donna a cui è stata tolta la vita.
Il Gender Equality Index colloca l’Italia sotto la media europea, con forti disparità nella rappresentanza e nell’accesso al potere. Eppure esistono figure e pratiche che provano a cambiare la narrazione: è stato il caso, dibattuto nei giorni di confronto del progetto, di Michela Murgia, citata in questo caso come esempio di un pensiero capace di rompere lo schema e proporre parole nuove.
Spagna: diritti formalizzati, ma non per tutti
La Spagna è apparsa come un esempio avanzato dal punto di vista legislativo. Le leggi su violenza di genere, parità salariale, congedi parentali e rappresentanza sono solide e spesso prese a modello. Ma la legge, da sola, non basta. I ragazzi coinvolti hanno infatti saputo raccontare a chi non vive l’esperienza da vicino come loro quanto, soprattutto nelle zone interne e più tradizionaliste, restino spesso radicati stereotipi forti, in particolare nei media e nei contesti educativi.
Le donne partecipano al mercato del lavoro in misura crescente, ma rimangono sottorappresentate nei ruoli di potere. Secondo il Gender Equality Index, la Spagna ha uno dei punteggi più alti in Europa, ma i progressi non sono uniformi: ci sono ancora resistenze culturali, che rallentano il cambiamento nel quotidiano. I partecipanti hanno portato una visione lucida ma disillusa: le politiche ci sono, ma il cambiamento culturale richiede molto di più. Le disuguaglianze permangono, anche dove sembrano risolte.
La visione della Grecia, tra resistenze culturali e tentativi di cambiamento
In Grecia la distanza tra le città e le aree rurali è evidente. Ad Atene e Salonicco si trovano ad esempio realtà più aperte, un buon attivismo giovanile, diverse iniziative femministe. Ma fuori dai grandi centri la divisione dei ruoli resta rigida e la parità viene ancora vissuta come un tema “di nicchia”. Il linguaggio, che è stato analizzato anche dal punto di vista del vocabolario e delle abitudini lessicali, è spesso sessista e le parole neutre o inclusive faticano ad entrare nel dibattito pubblico.
La Grecia è fanalino di coda nel Gender Equality Index europeo, ma il confronto ha evidenziato la forza di una generazione che sta cercando di cambiare passo, anche a partire dalla scuola, dall’università, dai social. Da quel che è emerso quindi la visione greca è ancora bloccata tra tradizione e cambiamento.
Palestina: parità come atto politico
La parità in Palestina è legata a doppio filo alla questione politica. I partecipanti hanno raccontato un contesto dove la libertà personale è costantemente limitata: dalla famiglia, dalla religione, dalla società, ma anche da una situazione geopolitica instabile. In alcuni territori, anche solo parlare di diritti può essere considerato un atto sovversivo.
In quest’ottica, secondo UN Women, nello Stato di Palestina il 19,1% delle donne tra i 15 e i 49 anni ha subito violenza fisica e/o sessuale da un partner attuale o passato nel corso dell’anno precedente. Le donne e le ragazze sopra i 15 anni dedicano in media il 20,1% del loro tempo a lavori domestici e di cura non retribuiti, rispetto al 3% degli uomini. La partecipazione al mercato del lavoro resta bassa. Le donne spesso non denunciano, e l’accesso alla giustizia è ostacolato da norme legali e culturali che tendono a minimizzare la gravità della violenza. La rappresentanza politica è bassa, nonostante esistano quote di genere nei consigli locali.
Eppure, da un contesto così complesso emerge una visione forte, consapevole. Chi ha parlato lo ha fatto con lucidità e coraggio, descrivendo pratiche quotidiane di resistenza: gruppi di auto-aiuto o attivismo comunitario. Esperienze che si muovono spesso in silenzio, ma che aprono spazi di libertà reali. Perché, dove è più difficile parlare, le parole diventano ancora più necessarie.
Tunisia: piccoli spazi, grandi visioni
La Tunisia ha una delle leggi più avanzate del Nord Africa sulla violenza di genere, ma l’applicazione resta debole. Il confronto ha fatto emergere una società che, se da un lato si apre lentamente, dall’altro è ancora fortemente condizionata da ruoli fissi e aspettative imposte. I ragazzi tunisini hanno portato una visione onesta, concreta, segnata da frustrazione ma anche da speranza.
Il 70% delle donne ha subito almeno una forma di violenza nella vita. Eppure, tra chi ha partecipato, si percepiva una determinazione netta a occupare spazio, a raccontare il proprio vissuto, a cercare connessioni oltre i confini. Il punto di partenza, per molte, è stato proprio il confronto con chi vive altrove.
Il potere dell’incontro
Raccontare qualcosa di questo progetto anche a chi non ha partecipato ci è sembrato importante, perché non si è trattato solo un insieme di attività.
Il luogo, un resort sterminato circondato dal mare, sembrava quasi irreale, sospeso tra sogno e realtà. Le giornate erano scandite da workshop e lavori di gruppo, ma le conversazioni più significative nascevano anche nei momenti informali: a colazione, al mare, in piscina o durante una serata fuori. È stata organizzata anche una serata interculturale proprio per entrare, ancora di più, in contatto con la visione di ogni paese. Ogni gruppo ha portato qualcosa del proprio paese: cibo, musica, racconti. Non c’era un programma preciso, solo la voglia di far vedere chi si era, senza filtri.
Una visione diversa
Non si è tornati a casa con soluzioni, ma certamente con una visione diversa. Non solo degli altri, ma anche di sé.
Il progetto ha fatto emergere contraddizioni, domande, prospettive nuove. Ha reso chiaro quanto il contesto possa modificare la nostra idea di genere, e quanto spesso si dia per scontato ciò che si vive. A Djerba si è costruito uno spazio protetto in cui parlare senza sentirsi giudicati. E in quello spazio, qualcosa si è mosso.