Il porcellum si “ammazza” a dicembre

Curioso il fatto che proprio nel mese in cui secondo la tradizione contadina si macella il maiale, il porcellum sia atteso sul patibolo

Infatti il 3 dicembre la ghigliottina potrebbe abbattersi sulla sua testa, azionata dalla Corte Costituzionale. Non è una certezza, purtroppo, ma una eventualità che – per quanto remota – nessuno, tra politici o costituzionalisti, si sente di poter escludere.

Ricordiamo in breve come si è arrivati alla data del 3 dicembre. Un avvocato presenta un ricorso nel 2009 contro la presidenza del Consiglio dei Ministri e il ministero dell’Interno per lesione del diritto di voto. Dopo che il ricorso viene dichiarato infondato in primo grado e in appello, Il 17 maggio del 2013 la prima sezione civile della Corte di Cassazione con una ordinanza dispone di rinviare alla Corte Costituzionale la responsabilità di esaminare il testo, dichiarando rilevanti e non infondate le questioni sollevate dal ricorso.

Non ci interessa qui addentrarci in tematiche strettamente inerenti al diritto costituzionale. Però alcune considerazioni vanno fatte.

Intanto non ho mai capito questo stracciarsi le vesti dinanzi al voto di preferenza perduto con l’attuale legge elettorale. Anche il “Mattarellum”, in sintesi, non prevedeva l’espressione della preferenza. Infatti l’elettore poteva scegliere, per il 75% di eletti attraverso il collegio uninominale, un candidato tra quelli già stampati sulla scheda, e, per il restante 25% da eleggere con sistema proporzionale, poteva solamente apporre una X sulla lista preferita. Nessuno, da quando è stato introdotto il precedente sistema elettorale nel 1993, ha più potuto scrivere di suo pugno una preferenza.

Quindi il problema della preferenza è serio ed esiste, ma da molto prima della legge n. 270 del 2005. Quest’ultima, tutt’al più, ha estremizzato una situazione già di per sé grave, slegando definitivamente i candidati dal territorio – almeno chi competeva per il collegio uninominale si faceva vedere in zona dagli elettori – introducendo un premio di maggioranza esagerato con la scusa della famigerata “governabilità” e auto-azzoppandosi con quel meccanismo bizantino del premio di maggioranza su base regionale al senato. Quasi nessuno oramai ricorda che fu voluto da dall’allora presidente Ciampi, ma che comunque – pur accontentando i suggerimenti del presidente della Repubblica – poteva essere pensato meglio

Ma il punto oggi è più politico che giuridico. Come già scritto, senza nessuna pretesa di novità o originalità, molti in privato vezzeggiano l’attuale sistema elettorale. A tal proposito ho trovato interessanti le osservazioni del costituzionalista Michele Ainis che, ieri, dalle colonne del Corriere della Sera delineava l’anomalia istituzionale – chiamiamola così – che potrebbe venirsi a creare se la Consulta dovesse metter mano sul porcellum prima della politica. L’esperto arriva a suggerire anche l’uso del decreto legge per uscire da questo empasse. Oggi, puntuale, segue una lettera aperta di risposta del ministro delle riforme Gaetano Quagliarello che, con il fare pacato che lo caratterizza, in sintesi chiude la strada al decreto perché, da una parte, i requisiti di la necessità e urgenza previsti sarebbero ravvisabili, secondo il ministro, solo nel caso in cui si dovesse tornare alle urne e, dall’altra, perché per prassi questa materia non può essere sottratta all’iter parlamentare. Risposta calibrata, ma di nuovo si evita di affrontare il problema.

Gli ultimi anni, quasi l’ultimo ventennio, ha visto la pressi parlamentare cambiare non poco. Lo strumento del decreto legge è diventato per i governi sia di centrodestra che di centrosinistra, chi più chi meno, un grimaldello efficacissimo, spesso riducendo il parlamento a un’arena di spettatori (e qui non mi addentro in facili polemiche di stampo populista sulla stoffa del “parlamentare medio”). Ora, in una condizione di simile crisi istituzionale, con un risentimento popolare che monta ogni giorno di più, sentir dire che non si può adottare per “prassi” uno strumento di cui si è largamente abusato negli ultimi anni, francamente fa un po’ … pensare. Sembra il classico dito dietro il quale si tenta invano di nascondersi. Soprattutto se consideriamo che tecnicamente parlando siamo in presenza di un governo non di larghe, ma larghissime intese, tali da racchiudere praticamente tutti meno il gruppo dei grillini, di Fratelli d’Italia, di Lega e SEL. Quale migliore condizione per agire?

Mancano i presupposti? Non è così. La necessità e l’urgenza non devono essere ravvisati nell’imminente elezione, ma nell’imminente e non più procrastinabile esigenza di dotare l’elettorato di uno strumento idoneo a permettergli di esprimere la propria volontà democratica. Quindi necessità e urgenza non di votare, ma di poter votare. Se poi lo si riesce a fare anche prima che la Consulta faccia rotolare la testa del povero porcello dal patibolo, tanto meglio. Almeno il Parlamento riaffermerebbe la sua dignità senza dover inseguire un organo giudiziario, e in questo sono del tutto in accordo con il ministro Quagliarello.

È ovvio che parliamo di fantapolitica, non può accadere che in un mese questa maggioranza traballante si possa accordare su un tema così delicato. Non ci è ancora riuscita con un disegno di legge, figuriamoci con un decreto.

Però la Consulta ha la sua udienza fissata per il 3 dicembre. Probabilmente non farà cadere la lama, visto che la Corte Costituzionale da sempre è sensibile agli scenari politici e sa che decapitare il porcellum porterebbe uno sconquasso definitivo. Ma è pur vero che il suo primo scopo è la tutela della Costituzione, delle “regole del gioco”. Potrebbe quindi azzerare di fatto la legge porcata e resuscitare il Mattarellum, con la consequenziale destabilizzazione, definitiva, dell’attuale governo e un ovvio ritorno alle elezioni. Di certo ancora senza preferenze, ma almeno con candidati – anche se scelti dai partiti – costretti a confrontarsi col territorio, almeno per un buon 75% di essi.

E allora, se la suprema Corte deciderà per un bel reset, per quanto traumatico, poco male: non ci vengano a dire i nostri “eletti” che non hanno avuto tempo per sistemare questo casino.

di Gianluigi Cesta

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