di Carla Isabella Elena Cace
“Le donne per lo meno hanno le toilettes. Ma gli uomini, con che cosa possono coprire il loro vuoto?” scrisse Karl Kraus nel 1909. Già nel secolo scorso gli osservatori più fini compresero l’importanza del trucco in una società sempre più egocentrica, dove l’apparire divenne valore sostitutivo dell’essere. Oggi il make-up è considerato, ad alti livelli, una vera e propria arte, ma anche un business ed un vettore del “Made in Italy” di sicuro successo. Ne parliamo con Pablo, erede indiscusso del grande Gil Cagné, di cui proprio quest’anno ricorrono i dieci anni dalla scomparsa.
Qual è il percorso che ti ha portato al successo?
Il mio percorso nasce dalle esperienze dell’infanzia. Parafrasando Gil, “la tecnica si insegna, la passione no”. Mia mamma aveva un grosso culto dell’estetica e dentro di me sono stampate le immagini di lei che si trucca di fronte alla toeletta. Fu eletta Miss Eleganza nel 1953. Era una donna a cui piaceva il bello, ma non inteso soltanto da un punto di vista materiale. Mi hanno ispirato oggetti come il suo immancabile rossetto rosso, tipico di una donna degli anni ’50, o ancora l’eyeliner e la profumatissima cipria Coty che ricordo spennellava sul viso e sul seno. Quando ho iniziato a lavorare nel campo del trucco i miei erano titubanti: credevano nelle mie capacità, ma insistevano affinché pensassi prima allo studio. Mio padre insegnava lettere ai sordomuti e per lui la formazione era fondamentale. Terminata l’Università, però, gli dissi che volevo approfondire lo studio dell’estetica e lui mi appoggiò. Il corso che decisi di intraprendere, nel 1993, costava molto e i soldi me li prestò proprio mio padre. Devo tutto a quell’uomo, soprattutto quando mi disse “va dove ti porta il cuore”. Giunto alla scuola di Gil Cagné ebbi il cosiddetto timor panico: lui era il grande idolo che seguivo nelle riviste, in televisione. Avevo comprato tutti i suoi video, che custodisco gelosamente tutt’oggi. Temevo quest’uomo affascinante, con l’inconfondibile accento francese, il classico vip. Ricordo ancora che lui mi fece un’intervista lunghissima sulle motivazioni che mi spingevano. Così iniziò tutto.
Che ricordo conservi di questa grande icona del mondo della moda e della bellezza?
Ricordo i nostri viaggi all’estero. Quando lo accompagnavo in trasferta scoprivo un Gil molto più naturale. Qui in Italia era un po’ più abbottonato. Quando siamo stati a Los Angeles, la patria del glam dove lui ha lavorato tantissimo soprattutto per Hollywood, ricordo che di fronte al Chinese Theater sul Sunset Boulevard mi ha raccontato dei suoi esordi alla Max Factor, della quale fu ambasciatore negli anni ’80 e ’90. Da quel momento non l’ho più visto come un maestro ma come un uomo, ed ho potuto apprezzare le sue doti naturali. Era una persona di grande generosità e solidarietà, aveva un cuore molto grande. Tutti i segreti del trucco non mi sono mai stati svelati, mi ha sempre invitato ad osservarlo mentre lavorava per scoprirli.
Il mestiere, dunque, ti è stato tramandato da un artista apprezzato persino di Andy Warhol. Ritieni il trucco oggi si possa ancora considerare arte? Siamo “bombardati” da tutorial su internet o trasmissioni per il “fai da te”…
Purtroppo la televisione è uno strumento molto ambiguo, sia positivo che negativo. Per un verso, alcune blogger divenute presentatrici di trasmissioni sul make-up hanno portato alla ribalta un mondo di cui prima si parlava poco. Ma, nello stesso tempo, mi sento penalizzato da queste figure perché il trucco non si limita ad applicare un ombretto sulla palpebra, significa studiare e conoscere a fondo i tratti di un viso, è un lavoro antropologico! Attraverso la fisionomia si legge la storia della vita di una persona. Significativa, in tal senso, è la celebre battuta di Anna Magnani al suo truccatore Alberto De Rossi a Cinecittà, “ho impiegato tanti anni a farmi venire le rughe, perché vuoi togliermele tutte insieme?”. La bellezza di una donna non traspare solo attraverso il make-up, il trucco deve essere una chiave interpretativa del viso. Per me il mestiere è fatto di grossa artigianalità, gavetta internazionale per conoscere i volti di tutte le etnie del mondo e, soprattutto, cultura. Non si può imparare a truccare in tre minuti avvalendosi di un video. In ciascuna donna c’è una piccola porticina e bisogna, con il contatto umano diretto, imparare ad individuarla per aprirla.
Cosa è cambiato rispetto agli anni del tuo esordio?
Oggi è tutto più commerciale, veloce. Ricordo che con Gil restavamo fino a mezzanotte a studiare il trucco per una sfilata. Ora il make-up dura 45 minuti al massimo, lo stilista non ti dedica più molto tempo e quindi bisogna entrare autonomamente nel concept della sfilata e, in poco tempo, proporre qualcosa di valido. Non esistono più lo studio, l’amore e la dedizione di un tempo.
In questo momento di crisi cosa è cambiato nel settore? Gli analisti economici sostengono che il “business del bello” sia addirittura cresciuto. E’ vero, secondo te?
Parzialmente. Abbiamo assistito ad una lieve flessione interna, seppur l’interesse sia sempre molto alto. E questo perché in un momento di crisi il trucco dona una parentesi di benessere e serenità. Il sorriso, anche nei momenti più duri, non deve mai mancare. Il make-up è un gioco, un momento divertente per la donna. Aiuta a superare le difficoltà e dà una marcia in più. Ma, dati alla mano, oggi si vende più all’estero che in Italia, si fa molto export. Per fare un esempio, sono da poco rientrato da Hong Kong dove abbiamo stabilito la distribuzione della mia linea su novantacinque saloni solo nella città, portando a casa un ottimo risultato. C’è un altro tipo di fervore.
Quindi bisogna investire sul “Made in Italy” e crederci di più?
Certamente. Il problema degli italiani è che devono credere maggiormente in sé stessi e nelle proprie capacità. Quando faccio i corsi di trucco gli studenti chiedono sempre quali possibilità poi potranno avere. I giovani mirano ad entrare rapidamente nel mondo del make-up, senza la giusta gavetta. Ma se ti poni in maniera negativa il risultato è più difficile da ottenere. Chi ha forza di volontà e passione riesce. Bisogna esserne convinti.
“La bellezza salverà il mondo” è il titolo di un saggio del filosofo bulgaro Todorov. Credi sia davvero così?
Io la bellezza la associo solo al femminile, non riesco a legarla al maschile, e le donne oggi hanno un posto rilevante nella nostra società. Penso alle immense figure che, da sempre, sono dietro ai grandi uomini. Ad esempio, mi viene in mente Michelle Obama, la moglie di uno dei miei idoli. E’ un personaggio molto forte ed è bellissima, seppur non perfetta. La donna ha intuizione nella risoluzione dei problemi e, per questo, una marcia in più rispetto all’uomo. Perciò correggo l’aforisma di Todorov dicendo che “la bellezza femminile salverà il mondo”.