“La molto bellissima” storia di Vincenzo Nibali

Il Tour de France è iniziato ormai da una settimana e in questo primo terzo della gara a tappe più famosa del mondo un personaggio si è distinto, sulla strada ma anche in tutto quello che c’è dopo l’arrivo: interviste, conferenze stampa, premiazioni. Stiamo parlando proprio di Vincenzo Nibali, “Lo Squalo” o “Il Cannibale” come lo chiamano i suoi tifosi.

Il corridore messinese ha conquistato la maglia di leader della classifica già nella seconda tappa, e sul percorso che sulla carta non è proprio il suo preferito. Il capitano della Astana infatti ha dimostrato durante tutta la sua carriera di essere più a suo agio sulle montagne o al massimo nelle discese (memorabili i suoi attacchi nelle edizioni del 2008 e nel 2010 del Giro d’Italia). Uno dei suoi più grossi punti deboli, forse il più grande, è la cronometro ma negli ultimi due-tre anni ha dimostrato di essere migliorato anche in quello e in questa prima parte del Tour ha fatto vedere di saperci fare anche in pianura e nelle tappe miste.

La tappa simbolo dell’eccezionale stato di forma dell’italiano e del carattere straordinario è quella del 9 luglio, da Ypres (Belgio) ad Arenberg Porte du Hainaut. Il percorso riprendeva quello della Parigi-Roubaix, con 9 settori in pavé. Nibali non ha mai disputato una gara che prevedeva così tanti tratti di pavé e per di più quel giorno piove, giusto per rendere tutto ancora più difficile. La sera prima Jens Voigt pubblica sul suo profilo Facebook la foto che gli avevano fatto dopo la sua prima Parigi-Roubaix, sembra un soldato appena uscito da una trincea durante un giorno di pioggia. Totalmente ricoperto di fango, tranne gli occhi.

10524913_10203806206373867_1712821065_nNibali non è un tipo che soffre di tremarella, altrimenti non avrebbe il soprannome di “Squalo” o “Cannibale”, c’è da correre sul pavé con la pioggia e si corre sul pavé con la pioggia, semplice. Sì, semplice ma non per tutti infatti il primo dei grandi nomi a cadere, nel vero senso della parola, è Chris Froome, grande favorito e vincitore della scorsa edizione. Il britannico cade per ben due volte e nei punti di asfalto normale, in rettilineo. È provato dalle precedenti cadute dei giorni scorsi ed è costretto al ritiro.

Iniziano i tratti in pavé e Nibali stacca tutti: Contador, Valverde, Tj Van Garderen, persino Fabian Cancellara che di Parigi-Roubaix ne ha vinte ben tre. Vincenzo, insieme al suo compagno di squadra, il danese Jakob Fuglsang, seminano tutti e a pochi chilometri dal traguardo decidono di non rischiare più nulla e fanno andare avanti Lars Boom che vincerà la tappa. È un capolavoro, Chapeau Nibalì.

Nel dopo gara un’immagine mi ha colpito più di tutte le altre. Nibali incrocia il suo compagno di squadra, Fuglsang, che quel giorno è stato fondamentale per lui. Inizialmente sembra non vederlo, è distratto. Appena si rende conto che è il suo gregario lo ferma e va a dargli la mano per ringraziarlo. È un piccolo gesto che però non ho visto fare spesso agli altri campioni che hanno vinto il Tour.

Tuttavia la cosa più assurda è che la stampa italiana ha deciso di non raccontare la storia di Nibali. Il giorno dopo L’Equipe, uno dei giornali francesi più importanti dedica l’intera prima pagina all’italiano titolando: “Dantesque”. E si sa che come diceva Paolo Conte “I francesi che si incazzano. Che le balle ancora gli girano” per i Bartali, i Coppi, i Pantani. Il giornale italiano che dà più spazio all’impresa è La Gazzetta dello Sport con un’apertura neanche troppo esaltante o esultante, si dà più spazio alle parate di Romero nella semifinale mondiale.

Quasi tutta la stampa internazionale invece si innamora di questo ragazzo spontaneo, loquace, gentile ma soprattutto umile e spensierato. Diverse volte alcuni suoi colleghi maglie gialle si sono negati ai microfoni, alle conferenze stampa, agli autografi o semplicemente avevano delle pretese assurde, come se fossero titolari di segreti irrivelabili. Nibali invece no, si presenta sempre alle interviste col sorriso, risponde a tutte le domande e non ha fretta di lasciare la sala stampa. Ha capito che il ciclismo non è dei corridori, non è degli organizzatori, dei giornalisti ma è di tutti, è in primo luogo del pubblico e della gente che lo segue. In tutto questo la stampa italiana (esclusa la Rai che per una volta va lodata) ha scelto di non raccontare questa storia, di non sfruttare l’occasione che un campione e un risultato sportivo parziale gli sta offrendo.

https://www.youtube.com/watch?v=GRW7qJzIvB8

Speriamo che la “molto bellissima storia di Nibali al Tour de France abbia un epilogo positivo, per fare innamorare nuovamente il nostro Paese di uno sport che in troppi hanno bollato come “sono tutti dopati”. Per far tornare i grandi scrittori a raccontare le grandi corse, come hanno fatto Dino Buzzati, Vasco Pratolini, Emilio Salgari. Sì, erano altri tempi ma il ciclismo ha ancora l’appeal per raccontare storie, perché questo sport è metafora di vita come dice Ivan Basso: “La bicicletta insegna cos’è la fatica, cosa significa salire e scendere, non solo dalle montagne, ma anche nelle fortune e nei dispiaceri, insegna a vivere. Il ciclismo è un lungo viaggio alla ricerca di se stessi”.

 

 

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