Attori e uomini molto diversi tra loro, Mario Brega e Guido Nicheli si “ritrovano” e vivono una nuova carriera sul web
Youtube, i motori di ricerca, le suonerie degli smartphone, gli schermi dei tablet. Ai loro tempi questi oggetti potevano essere forse a stento immaginati, eppure oggi ne sono dominatori incontrastati. Le battute, i monologhi, le foto di Mario Brega e Guido Nicheli spadroneggiano ovunque nella rete, facendo ridere anche chi, all’epoca dei loro film, non era nato. Molti comici, veri o presunti, oggi confondono l’umorismo con il tormentone. Il comico diventa così un pappagallo che ripete la stessa frase all’infinito, trasformandola in un tic. Gli esempi sono innumerevoli.
In questo quadro, i due caratteristi di vecchia scuola, maschere ineguagliabili di tanti film (non sempre eccelsi) che d’estate tornano sugli schermi televisivi, in comune hanno avuto la capacità di spiazzare continuamente lo spettatore. Ciascuno nella propria “lingua”, sono stati capaci di inventare continuamente battute, espressioni, funambolismi verbali sempre nuovi e di sicuro effetto comico.

In quella lunga galleria di figure paterne che è il cinema di Carlo Verdone, Brega è un capostipite inimitabile. In “Un sacco bello” costruisce il memorabile personaggio del padre del capellone indolente Ruggero, “comunista così” con Mercedes, cameriera, amico sacerdote, casa e aspirazioni ultra-borghesi. Una delle tante, nitide e perfette istantanee di Verdone sull’Italia degli albeggianti anni ’80.
In tutta la sua filmografia Brega, con i suoi toni laceranti, sempre sopra le righe, il suo gesticolare largo, le sue battute minacciose da brigante ottocentesco, costruisce una caricatura permanente dello stile di Belli, Trilussa, Petrolini. Diventa lo stereotipo perfetto di una certa romanità generosa ma insofferente, capace di mettersi a piangere di rabbia e di esplodere subito dopo in una risata assordante.
Guido Nicheli, Dogui per gli amici, Nasce a Bergamo nel 1934. Vive in una Milano in grande fermento non solo economico, ma anche artistico. L’Italia legge i gialli di Giorgio Scerbanenco, vede in tv i quiz rapidi, spartani e rigorosi di Mike Bongiorno e ammira sul grande schermo la Torre Velasca, location di una delle più importanti commedie degli anni ’50-’60, “Il vedovo”, interpretato sì da Alberto Sordi, ma affiancato da uno dei volti della “milanesità” per eccellenza: Franca Valeri, creatrice incontrastata di quell’umorismo meneghino a base di scorciatoie verbali ed efficientismo esasperato.

https://www.youtube.com/watch?v=sKcHGpOMdpg
Gli anni ’80 sono una stagione gloriosa dal punto di vista commerciale ma con limiti precisi dal punto di vista strettamente cinematografico. Uno su tutti: il cinema in quegli anni rinuncia completamente alla scrittura. Non esistono più copioni, solo sketch messi in fila e interpretati dai comici più in voga del momento, sotto la supervisione di registi e produttori impazienti di passare all’incasso (che non si fa mai attendere). Ma le presenze dei nostri eroi riescono sempre a imporsi sullo schermo, anche in pellicole dal fiato corto, come quella in cui compaiono insieme, “Montecarlo Gran Casinò” (1987) di Carlo Vanzina.
Lo scorso 23 luglio è stato il ventesimo anniversario della scomparsa di Mario Brega. Il giorno successivo, il 24 luglio, “Dogui”, deceduto nel 2007, avrebbe compiuto 80 anni. Eppure i loro sketch ce li riconsegnano un’infinità di volte ogni giorno, vivissimi.

