Mike Nichols: “l’europeo” della New Hollywood

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Da Broadway a Philip Seymour Hoffman passando per “Il laureato”: carriera di un premio Oscar con il pallino della satira

Nonostante vivesse negli Stati Uniti dall’età di 8 anni, c’è qualcosa di innegabilmente europeo nello sguardo distaccato e feroce con cui il regista Mike Nichols, al secolo Michael Peschkowsky, ha raccontato quattro decenni di società americana. Quando si nasce nella Berlino del 1931 da un famiglia russo-ebraica, lo spirito critico verso l’ambiente che ti circonda probabilmente nasce spontaneo. Arriva a Chicago con la famiglia nel ’39. Inizia giovanissimo a scrivere e dirigere commedie teatrali a Broadway. Esordisce dietro la cinepresa nel ’66 con “Chi ha paura di Virginia Woolf?”. A soli 35 anni, piega al proprio volere la turbolenta coppia Richard Burton-Elizabeth Taylor, seppellendola sotto un look ultra-invecchiato e logoro. Soprattutto la bizzosa e ingestibile Liz. In cambio le fa vincere l’Oscar. Il film ne totalizza cinque.

Quello alla regia però arriva solo nel ’67, con l’apoteosi de “Il laureato”: Dustin Hoffman lanciato nell’olimpo del cinema e Anne Bancroft trasformata in un’icona, per un film che inventa un ribellismo giovanile del tutto nuovo. Niente più giubbotti alla Marlon Brando o mattane alla James Dean: Ben ed Elaine non ne possono più delle imposizioni degli adulti e, semplicemente, smettono di obbedire. Il fatto che lei sia già sposata non importa: se ne vanno insieme, oltretutto con una certa preoccupazione. Il successo di pubblico e critica non ha bisogno di commenti.

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Il bellico “Comma 22” (1970) è invece un grande insuccesso commerciale, colpa di una lavorazione travagliata. Resta comunque valida l’intuizione di applicare alla “intoccabile” Seconda guerra mondiale lo sguardo accusatorio che, in quegli anni, si usa costantemente verso la Corea o il Vietnam.

E’ inevitabile l’incontro con l’attore simbolo della New Hollywood, Jack Nicholson. Girano insieme “Conoscenza carnale” (1971) e “Due uomini e una dote” (1975). Si riuniranno nel 1994 per “Wolf – La belva è fuori”, horror sul tema del lupo mannaro con forti venature (come sempre) di satira sociale, non del tutto risolto.

Altre due nomination all’Oscar negli anni ’80. Nel 1984 per il biopic “Silwood”, con Meryl Streep, vera storia della sindacalista anti-nucleare Karen Silkwood, morta in un misterioso incidente nel ’74. Nel 1989 per “Una donna in carriera”, una delle commedie del decennio, che trasforma il granitico Harrison Ford in uomo-trofeo conteso tra la yuppie Sigourney Weaver e la sua rampante segretaria Melanie Griffith.

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All’alba degli anni ’90 è ancora Harrison Ford a essere sballottato in un ruolo lontanissimo da quelli da duro inaffondabile che lo hanno consacrato. Nel drammatico “A proposito di Henry” (1991), Nichols lo fa diventare un avvocato mascalzone costretto, dopo il coma, a reinventare interamente la propria vita.

Negli anni ’90 il regista vira verso la satira più marcatamente politica. Verso la destra repubblicana con “Piume di struzzo” (1996), remake de “Il vizietto”, con le peripezie di una coppia gay che deve affrontare gli austeri futuri suoceri del figlio di uno dei due. Nei ruoli che furono di Ugo Tognazzi e Michel Serrault ci sono Robin Williams e Nathan Lane; i consuoceri sono Dianne Wiest ed uno strabiliante Gene Hackman. Viene messo invece alla berlina il partito democratico trionfante con “I colori della vittoria” (1997), con John Travolta nei panni di un candidato alla Casa Bianca con pochi scrupoli, sosia perfetto di Bill Clinton.

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La filmografia di Mike Nichols si conclude con un altro “Hoffman”. Ne “La guerra di Charlie Wilson” (2007), uno straordinario (come sempre) Philip Seymour Hoffman è un irresistibile agente della Cia che, nel 1980, aiuta il deputato Tom Hanks e la miliardaria Julia Roberts a organizzare la resistenza afghana all’invasione sovietica.

Mike Nichols se n’è andato a 83 anni il 19 novembre. Accanto a lui c’era la sua quarta moglie, la giornalista televisiva Diane Sawyer. Resta la filmografia di un autore che ha saputo contribuire in modo determinante alle innovazioni della nuova Hollywood.

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