Le cronache locali ci spingono a immaginare un Messico perso fra l’opulenza di Cancùn e la guerra intestina fra e contro i cartelli della droga. Eppure esiste un Messico più selvaggio e autentico, ancora poco conosciuto dal turismo
L’automobile, una Volkswagen “Clasico” di colore bianco, modello assai diffuso in questo angolo di terra, percorre lentamente una strada dissestata e intervallata dalle “tope”, i tradizionali dossi o muri d’asfalto. Sono tanti e molto alti e questo spiega come mai, oltre agli influssi commerciali e culturali dei vicini Stati Uniti, qui siano particolarmente diffusi jeep e pick up. La strada serpenteggia fra i fianchi di alte montagne, dove la fitta e intricata vege
Siamo in Chiapas, Stato meridionale della Repubblica federale messicana confinante con il Guatemala. Una Regione lontana dalle immagini stereotipate della Cancún opulenta e dedita al gioco d’azzardo o della Ciudad Juárez, principale centro di smistamento della droga diretta negli States, primo consumatore mondiale.
Se non ci fossero automobili ed elettricità a ricordarci il presente, sembrerebbe che qui il tempo si sia fermato al XIX secolo. La gente, ospitale e cordiale seppur dai tratti fisiognomici “ruvidi” e ombrosi, vive nelle e delle sue millenarie tradizioni perché sono loro i diretti discendenti dei popoli Maya e Aztechi. È una regione ancora incontaminata e piena della sua vita perché non è ancora arrivato quel turismo selvaggio che sta distruggendo, selvaggiamente, altre parti del Messico. D’altronde è finita solamente un decennio fa la rivoluzione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) che, per vie soprattutto pacifiche, chiedeva al governo centrale di modificare la costituzione inserendo il riconoscimento dei popoli e delle culture indigene, oltre a garantire loro un’autonomia legislativa.
È proprio in questa regione che il nostro viaggio di due settimane si è arricchito di un’esperienza indimenticabile. È e rimarrà per noi la vera faccia del Messico, contrapposta agli altri Stati turisticamente 
Viaggiare in Messico non è poi così costoso come si potrebbe pensare. Prenotando il volo con un certo anticipo – e credetemi, è la spesa più importante – per due settimane ad agosto potrete arrivare a spendere 1.500 euro, senza farvi mancare nulla e noleggiando una macchina come abbiamo fatto noi. A tal proposito, nei giorni in cui il piccolo gruppo si riuniva per organizzare il viaggio, molti ci sconsigliavano di affittarla per diversi motivi, a cominciare dalla pericolosità delle strade battute da narcos o da banditi (nell’Italia papalina sarebbero stati definiti briganti). Senza considerare poi le mazzette da distribuire a militari e polizia federale.
Qualcuno dei nostri amici era stato effettivamente fermato per delle presunte infrazioni al codice della strada o per lunghe ispezioni al veicolo dove non tutto era (guarda il caso) in regola. A noi è andata di lusso. Pur non essendo stati mai bloccati per controlli “farlocchi”, avevamo pronti nelle tasche dei bermuda mazzette rigorosamente in dollari (sono infatti poco affini ad accogliere banconote nella valuta locale, il peso messicano).
Il nostro viaggio, a parte la tappa a Città del Messico, ha toccato quattro Stati meridionali e orientali, permettendoci 
Tutto questo attraversando, zaino in spalla e buone gambe, il Chiapas, Tabasco, Campeche, Quintana Roo e lo Yucatan. Ognuno con una storia diversa da raccontare, ognuno con un paesaggio diverso da mostrare, ognuno con il proprio modo di affrontare e vedere la vita. Tutti accomunati, però, dalla sacralità dell’ hic et nunc. Un lungo viaggio in cui potrete scoprire insieme a noi, puntata dopo puntata, anche il Messico nascosto, selvaggio e non turistico, realizzando, magari, un sogno che tenevate nel cassetto per paura dei costi proibitivi.

























