Eutanasia e biotestamento: mors mea… vita mea?

Eutanasia e biotestamento mors mea… vita mea

Da Piergiorgio Welby a Kristina Hodgetts. L’eutanasia raccontata dalle associazioni e da punti di vista opposti.

“Ti hanno affidato la loro vita e tu gliela prendi”.

Si potrebbe racchiudere in queste poche parole una riflessione tanto ampia come quella sull’ eutanasia. E con queste stesse parole potremmo partire per raccontare la storia di Kristina Hodgetts, un’infermiera divenuta una fiera oppositrice dell’ eutanasia, dopo aver assistito e aver, per parecchio tempo, “preso le vite” di molti pazienti attraverso la sospensione dell’idratazione.

Si potrebbe, perché queste poche parole sono forti e decise ma allo stesso tempo ambigue e portatrici di significati nascosti. Così come enigmatico e nebuloso è ancora il dibattito sulle DAT, sul fine vita, sull’ eutanasia.

Le dat

Approdato in Parlamento dopo un lungo dibattito, particolarmente acceso anche al di fuori da Montecitorio e Palazzo Madama, il ddl sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento ha creato da subito lo scompiglio che ci si aspettava. È giusto rendere legale una “cultura della morte”? Fa parte delle libertà individuali, al contrario, scegliere di porre fine alla vita se non la si considera più tale? Le risposte, come ogni tema etico che si rispetti, rimangono ancora avvolte dalla foschia della coscienza; ma anche fortemente influenzate dalla sensibilità e da un’analisi talvolta effettuata sulla base di esperienze o emozioni del soggetto che indaga il tema.

E tu.. da che parte stai?

«Il paradosso di questa legge si palesa di fronte a un concetto tanto semplice, quanto chiaro e insindacabile: nessuno ha la sfera di cristallo per sapere in anticipo come reagirebbe di fronte a una malattia grave o a una disabilità. Molto spesso, quando ci si trova in queste situazioni estreme, le prospettive cambiano e si manifesta un forte, naturale desiderio di vivere. Di fronte a queste considerazioni, come si può pensare di affidare a un pezzo di carta il proprio futuro anche a lungo termine?».

Facendo leva su una delle argomentazioni più dibattute dalle associazioni contro l’ eutanasia, il Presidente di ProVita Onlus, Toni Brandi, ha invitato a riflettere in modo approfondito sul tema. Il 6 giugno scorso a Roma presso la Sala Stampa Estera, nel corso di un incontro focalizzato sulla questione del testamento biologico, si è dato l’input per un ragionamento sulla questione partendo da una testimonianza, quella dell’infermiera canadese Kristina Hodgetts.

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Giusto e sbagliato

La parabola della storia di Kristina è semplice: prima infermiera nell’esercito canadese, poi capo infermiera in un dipartimento d’emergenza. Infine, direttrice degli infermieri in una casa di cura. È qui che «dal dare tutto per salvare i pazienti e ogni singola vita, si passò all’accelerare i processi di morte, nel modo più efficace, nel modo più sicuro», in un processo attraverso il quale l’ eutanasia si trasforma presto in un’azione di routine. Dopo i primi dubbi Kristina Hodgetts si trova spesso a scontrarsi con una domanda: “che cosa stiamo facendo?”. Finché – dopo esser finita in coma – non trova la sua risposta nella Coalizione per la prevenzione dell’ Eutanasia. E inizia così a combattere contro la direzione presa nel proprio lavoro.

La storia di Kristina è il racconto (forte) di una rivelazione, degli occhi che si aprono e permettono di attraversare il fiume lasciandosi alle spalle un paesaggio “sbagliato” per raggiungere i prati verdi del “giusto”. Eppure, la questione non è così semplice e il dibattito sulla potenza del diritto all’autodeterminazione vs. il diritto alla vita (o “diritto di morire” come lo declinerebbe Umberto Veronesi) continua ad alimentare la fiamma di un fuoco estremamente potente.

L’ “autodeterminazione”

La Costituzione non parla di autodeterminazione in alcuna delle sue disposizioni, ciò nonostante appaiono nel testo la nozione di persona, nelle sue diverse aggettivazioni (personale, personalità), quella di uomo (o umano) e la dignità. Quella che perciò si definisce comunemente come “autodeterminazione” non ha sicuramente nell’ordinamento giuridico una dimensione unitaria ed, anche per questo, le difficoltà di conciliare un tema etico con una disposizione giuridica continuano ad alimentare un confronto estremamente difficile da risolvere in modo univoco o “secondo la legge”.

Per le associazioni favorevoli all’ eutanasia, anche se il nostro sistema giuridico non prevede una normativa che disciplina la pratica del testamento biologico, gli articoli 13 e 32 della Carta Costituzionale conferiscono ad ogni individuo piena e libera facoltà di decidere a quali trattamenti sanitari sottoporsi. Ed è da qui che, in un mondo che dà sempre più importanza all’individuo e alla sua libertà, queste realtà ritengono fondamentale partire.

Eutanasia e biotestamento mors mea… vita mea

Mors mea.. Vita mea

Piergiorgio Welby scriveva all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano queste parole. «Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. […] Purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche». Welby chiedeva una “morte dignitosa” e il riconoscimento del diritto all’ eutanasia, così come oggi tante persone e associazioni, prima fra tutte l’associazione Luca Coscioni. Kristina Hodgetts (come ProVita Onlus e le tante realtà contrarie al testamento biologico), oggi, chiede invece che non si diffonda, rendendola legale, in Italia una vera e propria cultura della morte.

Le difficoltà

Qual è il confine tra una morte “dignitosa” e l’accanimento terapeutico è infatti solo uno dei nodi da sciogliere e con il quale il Parlamento italiano deve fare i conti qualora voglia concretamente far approvare un disegno sulle DAT attento ad ogni particolare di una questione tanto delicata.

In questo confuso dibattito è infatti importante entrare nel profondo della questione e aver ben chiari tutti i punti di vista per poter poi decidere consciamente “da che parte stare” e quale battaglia portare avanti. Perché combattere per difendere i diritti fondamentali dell’essere umano è un “dovere”, ma decidere la priorità e per quale diritto far battere il proprio esercito è motivo di fratture forti che per il momento neanche una legge sembra riesca ancora a risolvere.

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