Il mio testimone di nozze al Brancaccino

protagonisti il mio testimone di nozze al brancaccino

La commedia diretta da Pino Quartullo ha aperto la stagione del Teatro Brancaccino di Roma, in scena fino al 26 ottobre

Di commedie sui matrimoni, sui testimoni di nozze e sugli amori (fragili) che perdono la bussola in vista del “grande giorno”, il cinema ci ha regalato numerosi esempi. Alcuni si riducono a un divertente gioco fine a sé stesso, voluto per intrattenere lo spettatore; altri, più sottili, allusivi e ironici (e per questo più violenti e taglienti), scendono in profondità, scandagliando le pulsioni e l’evoluzione dei personaggi, non più macchiette agitate davanti a una macchina da presa.

Anche il teatro non si è tirato indietro e ha cercato negli anni di dare il suo contributo mettendo in scena drammi e commedie più o meno centrate. Tra queste rientra “Il mio testimone di nozze” per la regia di Pino Quartullo. L’opera di Jean-Luc Lemoine, interamente autoprodotta dalla compagnia, ha aperto ufficialmente la stagione teatrale del Brancaccino di Roma e sarà in scena fino al 26 ottobre.

Benny (Marco Fiorini) è un disegnatore di favole per bambini, pronto a convolare a giuste nozze con Lili (Siddartha Prestinari) dopo dodici anni di fidanzamento. La solidità della coppia viene messa in crisi quando Benny confessa a Lilli di aver scelto come testimone di nozze Thomas (Alberto Bognanni), un caro amico di lunga data del quale aveva però perso le tracce diversi anni fa. Invitato a una cena di “riconciliazione” (le virgolette sono quanto mai obbligatorie), Thomas si presenta nell’originale casa dei futuri sposi accompagnato dalla diciannovenne  Elynea (Monica Volpe). Appena la giovane coppia varca l’uscio di casa, un turbinio di eventi, rimorsi, illusioni e dolori fino a oggi celati deflagreranno, scardinando il mondo cristallino che ognuno di loro si era creato intorno a sé, debole scudo alle proprie insicurezze e amarezze. Da allora sarà un crescendo di tensioni, colpi di scena e battute al veleno che raggiungeranno in poco tempo il punto di rottura e di non ritorno cambiando, inevitabilmente, il corso della storia personale di ciascuno. Ma, come sottolinea il sognatore Benny verso la fine, citando Balzac, “la morte di un amore dà vita sempre a un altro”.

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Uno degli aspetti più interessanti di questa commedia è sicuramente l’originalità della scenografia affidata alla matita di Marco Raparelli,artista romano tra i pochi in Italia a essersi confrontato con il disegno di derivazione fumettistica. Questa impostazione o inclinazione, che di si voglia, è evidente nell’allestimento delle pareti dove trionfano soltanto due colori: il bianco e il nero, allusione non troppo velata al matrimonio ma anche a una visione della vita non sempre (o mai per i più pessimisti) conciliabile. Non esistono le sfumature di grigio, ma solo tocchi di leggero chiaroscuro a condire la nostra esistenza. E a sottolinearlo sono gli stessi personaggi, a volte carichi di livore, altre di rassegnazione e illusione.

Illusione che è il tratto principale del protagonista Benny, chiuso in questa torre d’avorio fatta di buoni sentimenti, candida ingenuità e sogni di un amore perfetto. E qui va riconosciuta la bravura di Marco Fiorini, in grado di calarsi nei panni bonari di un uomo diviso fra due amori conciliabili: il disegno e la compagna. Dall’altra parte la sua “dolce” metà, Lili, donna pungente, sarcastica, impulsiva, sempre pronta alla battuta velenosa ma non altrettanto coraggiosa davanti alle scelte che la vita le pone davanti, finendo per pagarne le conseguenze. Una parte in cui la Prestinari conferma ancora una volta il suo talento e la sua verve, l’abilità di reggere il palcoscenico come poche attrici oggi.

Poi ci sono Thomas, disorientato e deluso dalla vita, pronto a tutto pur di riassaporare la sua vendetta (che, come si sa è un piatto che va servito freddo) e Elynea, studentessa universitaria, fragile e sballotto lata dai marosi della vita. La giovane Monica Volpe, conosciuta per la voce prestata a personaggi di alcuni film americani, si è dimostrata brava ma ancora acerba, complice forse l’emozione della prima a teatro. Certo,  di strada ne deve ancora percorrere, ma crediamo che abbia la stoffa per acquisire sul palcoscenico sicurezza e determinazione.

Infine il testo e l’adattamento della commedia, divisa in due atti. All’inizio la pièce stenta a decollare, una macchina teatrale che fatica ad accendersi: i troppi ghirigori intorno alla costruzione psicologica dei personaggi, qualche dialogo ininfluente ai fini dell’impianto narrativo e una diegesi ricca di eccessivi virtuosismi rendono questa prima parte della commedia una curva sinusoidale di divertimento, alimentato dagli scambi di battute fra Benny e Lili, e perplessità.

Poi, come si riapre il sipario, tutto cambia. Anche gli stessi attori sembrano aver ritrovato sé stessi.  La trama si infittisce, acquista verve e mordente complice anche lo strano gioco a cui sono sottoposti i presenti per volontà della studentessa. Colpi di scena, ilarità, ritmi incalzanti e un’attenta riflessione su cosa sia oggi l’amore (e il matrimonio) riscattano la commedia fino all’epilogo disincantato e per questo ancora più sincero. E il pubblico si appassiona accompagnando l’evoluzione con risate e battiti di mani.

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