Elena Taddei, la nuova protagonista della rubrica “A lei per lei”, è la coach di Mamme in Movimento che prepara le donne fisicamente alla meravigliosa e faticosa “gara” del parto, introducendo un punto di vista totalmente nuovo, dove anche il partner ha un ruolo attivo e tecnico.
Febbraio è sempre stato un mese dedicato all’amore e agli innamorati dato la concomitanza con la celebre festa di San Valentino. Ma l’amore ha tante forme e sfaccettature e non si può semplicemente ridurre al romantico binomio uomo-donna.
Il progetto di Mamme in Movimento, oltre che essere un’alternativa valida ai metodi tradizionali per le donne in dolce attesa, è un atto d’amore materno verso il proprio bambino, poiché riduce il dolore e le ore di travaglio del parto, limitando le possibili complicazioni che incidono sulla salute del nascituro.
È amore verso se stesse, perché significa porre al centro la propria figura di donna, imparare ad ascoltare il proprio corpo e le sue meraviglie, durante un momento estremamente importante come la gravidanza.
Eh sì, è anche amore verso il proprio partner perché porta i due innamorati a seguire un percorso tecnico e di collaborazione che parte dal momento del concepimento fino alla nascita del bambino. E l’amore non è in fondo anche ascolto, comprensione e partecipazione?
Parliamo di tutto questo con Elena Taddei, la fondatrice di Mamme in Movimento, un progetto innovativo nato dall’esperienza diretta della coach con la gravidanza e il parto.
Tutto è cominciato dalla mia esperienza personale, ho partorito due volte ma non con il programma che ho inventato! Arrivando a questo momento così importante come il parto, ho capito che qualcosa non andava dal punto di vista fisico.
Sono partita quindi dalla mia esperienza per capire che la parte fisica era molto deficitaria. Ho provato, perciò, ad impostare qualcosa dal mio punto di vista, dato che sono una professionista in questo settore. Vengo da una formazione scientifica e ho un passato di attività sportiva agonistica. Lo sport ha sempre fatto parte della mia vita, mi piace la biomeccanica, l’anatomia funzionale e la fisica. Sono tutti settori volti a migliorare le prestazioni atletiche.
Poi sono arrivate le esperienze delle altre donne che mi dicevano “io non voglio partorire come l’altra volta, inventati qualcosa!” e io rispondevo “Grazie della fiducia, ma cosa invento?”.
Mi hanno talmente stimolato che ho cominciato a lavorarci seriamente. Conosco molto bene il corpo umano e i suoi movimenti. Dato che alcune posizioni, provocavano più dolore alle donne incinte, ho provato a cambiarle e rivederle. E da lì è cambiato tutto.
Su questo piccolo passo avanti, abbiamo lavorato e studiato tantissimo, fino a creare una serie di posizioni idonee. Le mie donne sono state fantastiche perché 10-15 anni fa non esisteva niente di tutto questo. Loro hanno replicato le posizioni in sala parto e le hanno “testate” per vedere se funzionassero. Poi sono stata fortunata, sono di Firenze e qui si lavora da 40 anni sul parto attivo e in sala parto ci hanno lasciato carta bianca.
È stato un vero e proprio lavoro sul campo, abbiamo capito che alcune cose andavano bene, altre andavano riviste. Poi ad un certo punto abbiamo incluso anche i partner, gli uomini.
A proposito di questo, spesso si crede che la gravidanza sia un percorso solo ed esclusivamente femminile, invece il tuo progetto, prevede un iter anche con il proprio partner, che può avere un ruolo attivo e di supporto. Qual è la reazione maschile a questo tipo di approccio?
Praticamente sono stati presi e buttati in sala parto dalle mamme! Si sono subito incuriositi e hanno acconsentito alle richieste delle mamme che volevano essere accompagnate in questo percorso, dal concepimento fino alla sala parto. Sono stati molto contenti di essere stati coinvolti in prima persona, con un ruolo di aiuto e supporto pratico. Per molti di loro era straziante stare lì e vedere la propria donna soffrire senza poter far niente. Altri hanno anche reagito dicendo “se proprio devo!”
Il bello di questo rapporto attivo dell’uomo è che si viene a creare una complicità tale che i due partner collaborano e si coordinano sul da farsi, anche sul fatto di rimanere in sala parto o meno. Quindi la partecipazione maschile è una chance in più che tu hai e tra averla e non averla, è sempre meglio averla!
Perché questo tipo di supporto da parte dell’uomo è di natura tecnica. Le mamme mi raccontano stupite che il proprio partner sapeva dove mettere le mani e cosa fare.
Il ruolo attivo del partner quindi inizia dalla gravidanza fino alla sala parto…
Certo, il percorso inizia a casa durante la parte finale del parto (verso la 35° settimana). La prima lezione viene fatta insieme a me e poi uomo e donna lavorano insieme per conto loro, ovviamente io sono sempre disponibile a supervisionare l’andamento, a chiarire dubbi ecc. Poi arrivano al punto nascita, seguitano e finiscono in sala parto.
Mi chiedo, però, se sia stato difficile sradicare il castello di preconcetti, credenze e modi di pensare legati alla gravidanza e al parto. Come veniva visto il ruolo attivo dell’uomo in sala parto? O qual è stata la reazione del personale medico a questo approccio innovativo?
Per quanto riguarda il ruolo attivo del partner non ci sono stati problemi, soprattutto nella regione Toscana, dove c’è questo approccio libero e si lavora sul parto attivo. Anzi, questa collaborazione tra uomo e donna viene accolta con entusiasmo, fanno loro i complimenti per aver lavorato così bene. A quel punto scatta la curiosità della sala parto, anche per accogliere delle novità.
Poi abbiamo avuto anche coppie gay, oppure c’è stato il caso di una mamma che non aveva il partner e ha portato una sua amica. Quando intendiamo partner, lo facciamo nel senso ampio del termine. Una persona che ti accompagna dalle settimane finali della gravidanza fino alla sala parto grazie a questo percorso. L’importante è che sia preparata.
Inoltre la presenza dell’uomo nella sala parto c’è sempre stata, anche prima di Mamme in Movimento, fatta eccezione per la prima ondata del Covid.
L’unico episodio che mi viene in mente è quello legato all’esperienza di G., una delle mie mamme. Durante il parto l’ostetrica ha chiesto al marito di andare via e lui non ha avuto la forza e la convinzione di dire “no, resto qui”.
Altri aspetti sono stati accolti peggio.
Quali aspetti sono stati accolti peggio?
Per esempio il fatto che io faccio spingere le donne fin dall’inizio, dalla prima contrazione, e lo faccio perché c’è una spiegazione anatomica. Invece l’ostetricia prevede che le donne debbano spingere solo nella fase finale del travaglio.
È difficile far capire loro che il parto attraverso il percorso Mamme in movimento viene fatto in un altro modo, segue altre regole, quindi anche la spinta è diversa. Per questo dico alle mie mamme di trovare un escamotage per far stare tranquille le ostetriche. Tra l’altro io dico sempre alle mie mamme “Non mi dovete credere, io posso anche aver sbagliato tutto, però può aver sbagliato tutto anche l’ostetricia. Non potete essere davvero sicure che una certa indicazione possa essere quella giusta o meno per voi finché non provate. Dovete provare, provare, provare. E soprattutto verificate, seguendo il metodo scientifico”.
Questo per dire loro che se non si trovano bene con qualcosa, sia questa una modalità di Mamme in Movimento o di ostetricia, devono lasciar perdere. Prima di ogni cosa non bisogna complicarsi il parto. L’importante è fare un parto fatto bene, in meno tempo e meno dolore.
Le donne possono subito verificare se una posizione va bene o no e, solitamente, nelle posizioni indicate da me soffrono molto di meno. La cosa importante è che possono verificarlo.
Ciò è possibile grazie ad una preparazione che porta le donne ad acquisire un livello di consapevolezza fisica e una capacità di gestione del proprio corpo molto alto. Sono l’unica a livello mondiale a fare questo percorso. In tutto il mondo l’ostetricia è uguale, persino in Giappone dove ho fatto una lezione internazionale e anche loro sono rimaste sbalordite, incuriosite da tutto questo perché non conoscevano questo differente modo di fare.
È comune a tutto il mondo l’idea che la donna debba partorire con dolore, eppure è possibile diminuire questa sofferenza con la pratica. Perché prima non si è mai posto l’accento su questo importante argomento?
Tutta la componente medica del parto ha fatto davvero molti passi avanti nel suo ambito di competenza. Ovviamente però la componente fisica e biomeccanica riguarda altri ambiti di competenza. Quindi per quanto riguarda la componente fisica delle posizioni del parto, mancano precisi studi di settore. Questi studi devono essere svolti all’interno di laboratori di competenza fisica e biomeccanica.
Ci sono due laboratori nel mondo che studiano la biomeccanica: uno a Losanna e il Saint Louis University negli Stati Uniti e ora con il Covid si sono fermati. Purtroppo le loro pubblicazioni non sono frequenti e spesso si occupano di aspetti marginali del parto.
Se tutto questo avesse avuto a che fare con il mondo maschile ci sarebbe stata un’attenzione diversa sull’argomento?
Secondo te? Secondo me assolutamente sì!
Quali sono gli obiettivi a lungo termine di Mamme in Movimento?
L’ obiettivo è quello di creare un laboratorio, partendo dalla Regione Toscana, per poi arrivare a farne uno a livello nazionale e internazionale. Molti hanno il laboratorio ma non hanno il know-how, io ho il know-how ma non ho il laboratorio. Servono anche le figure giuste. La volontà è anche quella di far riconoscere il percorso dalla Asl, attraverso una convenzione.
Cosa si potrebbe fare per riempire questa lacuna enorme?
Il parto è importantissimo, riguarda la riproduzione della specie e, inoltre, non è nato per essere svolto in sala parto, ma in contesti naturali dove, esposti a più o meno pericoli, la donna non poteva mica stare dodici ore a urlare di dolore!
La natura è stata precisa anche nel delineare il parto. Eppure non ci sono studi a riguardo, una mancanza gravissima.
Abbiamo il metodo codificato scientifico, gli strumenti, i professionisti…quindi cosa aspettiamo?
I bambini continuano a nascere ovunque, alcuni con parti molto lunghi che possono mettere a rischio il nascituro. Tu pensa che l’OMS ha stilato una statistica per cui la media di un primo travaglio fisiologico di una primipara è di 11/12 ore.
I parti fatti con il programma Mamme in Movimento durano molto meno, una media di 3 ore (tranne alcuni casi problematici). Tu pensa ad una donna in sala parto che dice “Ho dolore”. Le viene risposto “Eh va bene, è normale, stai partorendo”. Fine della donna. In questo modo non si prende in considerazione la donna reale, col suo sentire e le sue richieste.
Bisogna recuperare tutta la parte fisica, perché al punto nascita c’è solo la parte medica.
Una donna va in ospedale perché il medico sa cosa fare nel caso qualcosa vada storto, ma io donna che devo compiere l’atto di far nascere il bambino, non so come fare. Bisogna ripartire da quello che è l’allenamento sportivo e trasportarlo in questa prestazione fisica eccezionale che è il parto.
Nella sala parto mancano delle figure professionali, ingegneri biomeccanici e scienziati motori. Senza questo “team” ti assicuro che la donna è lasciata a se stessa e il parto lasciato al caso dal punto di vista fisico.
Quali sono i metodi più o meno tradizionali che non sono validi alla preparazione fisica del parto?
Non si può continuare a proporre alle future mamme “yoga in gravidanza, pilates”, perché queste attività sono tutte datate, nascono per gli uomini e non sono funzionali al parto.
Anche sul parto in acqua ci sono delle ricerche che dimostrano che non è indicato in un parto fisiologico per vari motivi. Ad esempio l’acqua calda della vasca abbassa la pressione e toglie molte forze alla donna. Questo ovviamente non va bene in un parto.
Anche il fitball, presente in molte sale parto, non ha uno studio biomeccanico che ne dimostri l’utilità.
Ad una mia mamma hanno proposto la palla. Io consiglio sempre di non usarla, ma al tempo stesso do libertà alle mamme di provare. Lei ha voluto provare e ha sentito aumentare molto il dolore, quindi è tornata alle posizioni indicate dal mio percorso.
Nei corsi pre-parto vengono spesso utilizzate le parole “rilassati”, “abbandonati”. Cosa sbagliata! Il parto è un’attività fisica. Pensa che si chiama la gravidanza, dove in italiano c’è la parola “danza”, che rende l’idea della questione del movimento, dell’attività motoria che c’è da fare. Quindi il rilassamento in un parto è marginale.
Qui subentra il mio lavoro, con l’aggiunta della parte fisica al parto. Se una donna avesse a disposizione l’ostetrica, la ginecologa, la psicologa e la scienziata motoria, sarebbe fantastico!
Il Covid ha rivoluzionato la vita e le abitudini di tutti, com’è cambiato il tuo lavoro durante la pandemia?
Il mio lavoro è cambiato in positivo. Certo, mi sono trovata a ristrutturare il mio lavoro da capo perché prima gli incontri erano in presenza, ora avviene tutto online, anche io sono in smartworking. Infatti, il corso è diventato totalmente online e lo sarà per sempre. Durante la pandemia hanno chiuso tutti i tipi di corsi, soprattutto durante il primo lockdown, e le donne si sono trovate sole in tutto questo.
Grazie al mondo online ho potuto comunque aiutare e dare supporto, non solo alle mamme in Italia, ma anche in tutto il resto del mondo. Sono quasi tutte mamme italiane che vivono all’estero. Con queste modalità ho potuto seguire molte più mamme.
Quindi grazie alla tecnologia hai ampliato tutto il bacino di utenza…
Sì, perché prima il corso era solo in presenza e riuscivo a seguire le mamme a Firenze oppure qualche altra mamma che ci raggiungeva da altre parti d’Italia e facevamo un corso breve e intensivo chiamato “short programme”. Grazie alla tecnologia viaggio in tutto il mondo. Un’opportunità pazzesca!
Riusciamo a fare benissimo le lezioni anche online, poiché le abbiamo rimodulate per questo diverso tipo di fruizione.
La cosa bella di tutto il progetto di Mamme in Movimento è che tu dai loro una scelta, consapevole e verificata…
Certo, dico loro di provare tutto e di verificare loro stesse. “Provo, sento, verifico” questo è il modus operandi. Sono preparate da tutti i punti di vista, anche alla metodologia e alla gestione ottimale del corpo.
Cosa consiglieresti ad una donna che vuole intraprendere un percorso simile al tuo, sradicando luoghi comuni e portando beneficio a chi usufruisce dei suoi servizi?
Il percorso che ho fatto è stato entusiasmante, ma anche molto impegnativo e faticoso, è stato un po’ “uno contro tutti”. Mi sono sentita dire, e talvolta ancora oggi, cose non molto piacevoli. Quindi bisogna essere preparate a confrontarsi con una realtà che non è ancora pronta al cambiamento, alla novità.
Bisogna armarsi di passione e dedizione per questo lavoro che riesce a darti una soddisfazione incredibile, la nascita di quei bimbi è anche un po’ merito della coach. È un confronto fra donne, un lavoro tutto al femminile, dal quale si può imparare e crescere assieme.
Inoltre bisogna studiare tanto, diventare delle vere professioniste.
L’amore è cura di se stessi e degli altri, è consapevolezza e responsabilità.
Mamme in Movimento ci insegna a guardare il parto attraverso una prospettiva nuova dove il dolore e la sofferenza non sono prerogative obbligatorie e necessarie se si è pronti ad ascoltare il proprio corpo, a provare in prima persona un parto innovativo, a farsi aiutare dal proprio partner in un rapporto di fiducia e cooperazione.
Ecco, il percorso innovativo di Elena Taddei che ci insegna a guardare l’amore materno con occhi diversi, senza mai dimenticarci che le donne, in quanto madri, devono amare e ascoltare in primis se stesse.