Gogna mediatica e cyberbullismo, quali tutele?

Gogna mediatica e cyberbullismo, quali tutele?

Il caso dell’imprenditrice di Lodi coinvolta in una tempesta mediatica riaccende il dibattito sull’importanza di tutele contro il cyberbullismo. Il punto attraverso dati e percezioni, in Italia e Spagna.

Nelle ultime settimane una delle notizie salite alla ribalta nella cronaca italiana è il suicidio della giovane imprenditrice Giovanna Pedretti. La donna, titolare di una pizzeria, è stata presa di mira dagli haters dopo aver pubblicato su Instagram e Facebook la risposta ad una recensione ricevuta sul suo ristornate. In seguito a queste pubblicazioni, Giovanna è stata vittima di un tempesta di odio contro di lei. Il giorno seguente si è tolta la vita. Al momento le indagini stanno accertando se ci sia una una netta correlazione tra il cyberbullismo ricevuto dalla donna e il suicidio.

Confronto europeo. Il cyberbullismo in Italia…

Il caso della donna ha acceso ancora una volta i riflettori sul tema del cyberbullismo. Ovvero tutti quei comportamenti di prevaricazione e sopraffazione che sono attuati da una persona nei confronti di un’altra individuata come bersaglio. In questo caso l’utilizzo dei mezzi di comunicazione è adoperato per attuare violenze verbali e scritte, istigazione al suicidio e danno all’immagine di terzi.

In Italia il bullismo e il cyberbullismo sono temi sempre più centrali, soprattutto tra i giovani che utilizzano le piattaforme come “campo di battaglia”. Alcune piattaforme come quelle gestite dalla società Meta cercano di contrastare il fenomeno attraverso uno stretto controllo dei contenuti pubblicati. Tuttavia ci sono altre piattaforme che hanno un controllo relativamente meno restrittivo e quindi permettono il perpetuarsi di queste azioni.

Oltretutto lo stato italiano, al momento, non riconosce il bullismo e il cyberbullismo come reati ma il fenomeno può essere punito solo se ricollegato a reati già punibili, come stalking, molestie, diffamazione.

…E in Spagna

La Spagna è da sempre un paese molto liberale e si configura come una nazione improntata alla lotta contro gli stereotipi. Infatti già dal 2013 è stata introdotta una legge nel codice penale spagnolo contro il cyberbullismo. L’articolo 131 della legge 26.904 del codice penale recita quanto segue:

“Chiunque, mediante comunicazioni elettroniche, telecomunicazioni o qualsiasi altra tecnologia telematica, contatta un minore allo scopo di commettere un qualsiasi delitto è punito con la reclusione da sei (6) mesi a quattro (4) anni contro l’integrità sessuale.”

Anche in questo caso il paese si è fatto precursore, essendo stato il primo in Europa ad introdurre una legge contro il bullismo in rete. Tuttavia, secondo un report dell’OMS 2022, si classifica al 7° posto tra i paesi in cui maggiormente i giovani soffrono di cyberbullismo.

Nonostante questo, i casi continuano ad aumentare. Domandando ai giovani valenciani (ndr il campione non è rappresentativo ma utile per avere uno spaccato anche se parziale) emerge l’opinione secondo la quale il problema, seppure affrontato a livello costituzionale, sembri essere in realtà sottovalutato nella pratica. Questo perché si pensa sia una problema prettamente relegato all’ambito giovanile. In realtà, come nel caso italiano dell’imprenditrice, il bullismo in rete è un problema che coinvolge tutte le sfere della società.

E allora?

In un mondo che ogni giorno diviene sempre più connesso, che ci permette di lavorare, viaggiare e comunicare grazie alla tecnologia non possono essere sottovalutati problemi come bullismo e cyberbullismo. La società sempre più liberale grazie alla quale possiamo esprimerci anche attraverso le piattaforme e condividere sempre e ovunque la nostra vita e le nostre opinioni, deve garantirci delle tutele maggiori.

Chiudere gli occhi non è più ammesso.

 

A cura di Paola Martinelli

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